Prendete un uomo. Un uomo tormentato e solo. Disperatamente, claustrofobicamente, imprigionato nel vortice autodistruttivo della propria mente, che lo porta ad uno scontro continuo con le sue paure, le sue fisime, i suoi spettri. Imbottite quest'uomo di varie sostanze psicotrope e rinchiudetelo in una spettrale villa americana, scenario di un sanguinoso massacro qualche anno addietro, con i suoi strumenti musicali ed i suoi pc.

Se ci mettete che quest'uomo è uno dei musicisti più geniali che abbia mai calcato il nostro suolo, avrete uno dei migliori dischi degli anni 90 (ma forse è anche riduttivo). Mai più il genio di Trent Reznor, infatti, ha toccato i vertici raggiunti con "The Downward Spiral"; disco totalmente schizoide che dipinge alla perfezione follie distorte e perverse su tele sonore affilatissime. L'opening act del disco è "Mr. Self Destruct", che parte con un efficacissimo sample di un uomo torturato (o che si tortura?), per poi lanciarsi in un verso ferocissimo, proseguire con un chorus micidiale e calmarsi con un break ipnotico e veramente inquietante; la voce flebile e maligna di Reznor che sussurra "you let me do this to you. . . I am an exit". Dopo il delirante tessuto chitarristico che chiude l'opener, c'è "Piggy", un mid-tempo che gravita intorno ad un semplice, ma davvero efficace, giro di basso e che termina in un tripudio percussivo di stampo noise. Segue l'invettiva blasfema di Heresy, pezzo arrabbiato che richiama e riveste in chiave decisamente più heavy un certo synth pop di matrice 80, nel quale Trent inveisce contro Dio, urla l'abbandono della propria fede. La rabbia continua poi a fluire nella successiva "March Of The Pigs".

Ma è quando lo stereo arriva alla traccia numero 5 che il disco ha la prima vera impennata inarrestabile: se si doveva, infatti, rendere l'idea di sesso, nella propria accezione più cruda e fisica, in una canzone, Trent Reznor c'è riuscito alla perfezione. Closer non è semplicemente una canzone: è l'abbraccio infuocato di due amanti, è lussuria irresistibile nell'atmosfera, è l'amplesso, il coito disperato. Un legame fisico intensissimo, inarrestabile. L'unione frenetica di due corpi inseparabili. La gioia celestialmente fisica dell'orgasmo puro (I wanna fuck you like an animal/ I wanna feel you from the inside.... You get me closer to God). Musicalmente il pezzo si regge su un bass synth molto funky, e trova di gran supporto i rocciosi muri di tastiera e le progressioni distorte. Si evolve in un crescendo esplosivo, fino a giungere in un finale che suona davvero come la resa sonora dell'esplosione orgasmica. "Ruiner", col suo andare sostenuto ci introduce all'altra gemma del disco, "The Becoming", sorta di manifesto di uno sdoppiamento della personalità: in essa si incastonano perfettamente furiose parti thrashy (con tanto di scream) e momenti acustici rilassati. L'uomo è in crisi. La sua consapevolezza lo sta portando alla follia.

Follia, ormai incontrollata, che esplode in "I Do Not Want This" (don't you tell me how I feel, you don't know just how I feel), nella breve "Big man with a gun", e poi finisce, inaspettatamente, a sfumare in "A Warm Place", una ballad ambient dal sapore vagamente Bowieano. Da lì, la dichiarazione d'intenti di "Eraser", dove l'uomo in balia della sua self-destruction si esprime meccanicamente, ed accetta l'ineluttabilità del suo destino contorto. (need you. . . fuck you. . . use you, ma soprattutto kill me, kill me, kill me). Altro inno alla lussuria più sporca e sanguigna è "Reptile", dove il nostro Trent guarda al suo amore come una morbo, e alla sua amata come il batterio che scatena la patologia. Come sfondo, un andare sinuoso, un basso che si snoda davvero come un rettile. E strisciando, troviamo la rassegnazione pura ed il dolore cieco. "He couldn't believe how easy it was, he put the gun into his face. . . bang". Dopo i fuochi della passione, della rabbia; dopo la tempesta delle emozioni incontrollate e malsane... la rassegnazione. La solitudine. L'abbandono di sè. Tutto in fondo alla "Downward spiral". Il nulla di sè aumenta man mano che si scende giù. Sempre più giù. L'ultimo respiro si esala con quella autentica perla che è "Hurt". Una delicatissima ballata acustica, che chiude il disco e che ci comunica tutto quello che quest'uomo può avere dentro.

Farsi male per vivere. Farsi male per sopravvivere. Il dolore è vita. La vita è dolore, quando l'amore ci ha tolto tutto.

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