Questa volta mi sbilancio, e non potrebbe essere altrimenti. Sono passati vent'anni da quando ho sentito per la prima volta quel nastro, e l'aver ritrovato l'edizione in cd qualche tempo mi ha riempito (ehm...) il cuore di gioia. Eh sì, si dà il caso che questo sia il primo album dell'era post-Augusto, spesso tanto rinnegata dai fan della prima ora, non così da quelli più giovani che riescono ad apprezzare anche la timbrica vocale del suo sostituto. All'indomani della dipartita Carletti scelse infatti di rimpiazzare il frontman non con un uno, ma con ben due cantanti: guarda caso, il primo - il giovane Danilo Sacco - aveva un timbro fortemente vicino a quello del grande interprete, tanto da far dubitare sulla sincera onestà del capelluto tastierista. La volontà di raccogliere quanto seminato dopo tanti anni di viaggi era evidente: eppure eravamo in un periodo - la metà degli anni Novanta - che per l'Italia voleva dire davvero tanto in termini di relativo avanzamento, sia storico che musicale. Arrivavano le prime eco del grunge, e ci si infatuava per qualche simpatica compagine world, che poi magari erano più preparati di quanto volessimo credere (mi vengono in mente i Tazenda partecipanti a Sanremo con Bertoli,o i Mau Mau, o ancora i Gang che proprio in quel periodo avevano dato il là alla loro trilogia folk; senza contare Almamegretta o i Radiodervish che avrebbero esordito di lì a poco). Insomma, noi siamo sempre sul pezzo quando si tratta di novità. Fatto sta che i Nomadi raccoglievano tutte queste influenze, le miscelavano con la loro bravura di onesti mestieranti, e quello che ne veniva fuori era un album a cui probabilmente nemmeno loro inizialmente pensavano. Gli emiliani avevano intrapreso un'interessante direzione negli ultimi dischi con Augusto, sembravano un po' fare il verso alle compagini di oltremanica più impegnate, quasi una sorta di Clash o di Mekons in versione italiana.

Il processo di maturazione completo si ebbe nel '94 con questo album, dove i nostri apparivano molto più Dexys Midnight Runners versione 1982 che non Mekons, dato il taglio zingaresco degli arrangiamenti e dell'abbigliamento. Italiani menestrelli che inseguivano sogni e denunciavano i raggiri dei potenti a colpi di chitarre e fisarmoniche. E proprio con un bel giro di fisarmonica si apriva La settima onda, il video chiariva perfettamente lo spirito in cui si erano definitivamente calati i musicisti, e delineava l'atmosfera che si sarebbe respirata all'interno del disco. Le canzoni si dividevano quasi equamente, alcune più serie (eppure mai seriose) - Donna, Vivo forte, Guai se..., In favelas, cui partecipano anche gli Inti Illimani - altre decisamente più scanzonate, come Ladro di sogni, la bellissima Sassofrasso, Il musicista, Le poesie di Enrico. Ovviamente per quanto può essere scanzonato un gruppo di tzigani deciso a proseguire indefessamente la propria direzione, intellettuale e musicale. Dette canzoni sono poi spesso accresciute nel valore dai testi di Taurian e del "poeta" Romano Rossi, perfettamente allineati con l'ispirazione delle musiche, tanto terrene quanto spirituali. Se volessi fare un paragone, mi vengono in mente i primi Litfiba, quelli della trilogia: stessa grande integrità affiancata dalla ferrea aura spirituale che li accompagnava, e durata purtroppo pochi anni in entrambi i casi.

Dopotutto, è facile travestirsi da sciattoni se hai dalla tua parte grandi musicisti. Eh sì perché gli anni Novanta vedevano probabilmente la migliore formazione dei Nomadi (se ne è già parlato in queste pagine): Daniele Campani un autentico martello pneumatico, Cico Falzone che si era già fatto conoscere ai tempi di Augusto, Elisa Minari che con i suoi 22 anni regalava a tutta la compagine un vento di novità. Si era parlato nelle prime righe del secondo sostituto di Augusto, e non me lo sono dimenticato. Francesco Gualerzi è senza dubbio il mio preferito del sestetto, un po' per quella voce roca, svogliata, da jazzista fumoso che passa di li per caso dopo nottate nei locali, un po' per il suo essere musicista eccezionale senza mai farlo pesare, in grado di padroneggiare clarinetto, sax (epici i suoi interventi ne La settima onda e Il musicista, con un solo molto "desmondiano") e chitarra. La classica pietra d'angolo insomma, il Cruijff che ti fa vincere le partite perché in quanto a classe sai già che gli altri con uno così perdono in partenza.

Chi cerca i Nomadi "classici" resterà deluso da questi suoni: questo è un disco che scorre leggero, forte nel ritmo, eppure che fa riflettere, abbastanza lontano dall'epicità del periodo augusteo, pure se a tratti se ne possono riconoscere gli ultimi sparuti brandelli. Il periodo d'oro durerà ancora per poco: l'anno dopo i Nomadi proseguiranno la loro ricerca in Tibet, e l'album che ne verrà fuori ("Lungo le vie del vento") non avrà la stessa carica, o perlomeno le stesse belle canzoni. Restano queste note, frutto di una serie di momenti irripetibili, come tanti ne capitano nelle nostre vite. Tutto sta nel metterli in fila e raccoglierli in modo da poterli ammirare, anche a distanza di tempo.


"L'importante è l'individuo, l'importante è la persona
che trasforma dentro al tempo la sua zona
il fango dell'inverno copre i segni dei gerani
ieri impegna l'oggi nel domani"

(Sassofrasso)

Elenco tracce e video

01   La settima onda (04:27)

02   Guai se... (06:19)

03   Donna (04:11)

04   Ladro di sogni (04:35)

05   Sassofrasso (05:10)

06   In favelas (03:43)

07   Vivo forte (07:08)

08   Un ricordo (05:03)

09   Le poesie di Enrico (04:21)

10   Il musicista (04:08)

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