Omar deve avere un metabolismo differente da quello di qualsiasi altro artista, oppure semplicemente attinge il tempo da un'altra dimensione spazio-temporale, per riuscire a tirare fuori dischi ogni mese, e di tale intensità. Li scrive, svariona a casa, me lo vedo, in mezzo a questo sterminato deserto con in mano la sua chitarra elettrica, i suoi pedali ed effetti, i synth, mentre guarda una foto di Carlos Castaneda e mastica una radice di erba del diavolo. Poi alza la cornetta del telefono, pensa a quale musicista potrebbe aiutarlo a tradurre quel fulcro di allucinazioni in musica per ensemble ed il gioco è fatto. Così penso nasca questo "Mantra Hiroshima" che vede al fianco del buon Mars Volta Zach Hill (già con Hella e ne El Grupo Nuevo de Omar Rodriguez Lopez, appunto) e Juan Alederete (che abbiam sentito nei Racer-X e compagno di Omar nei Mars Volta), insomma, il calibro di follia è decisamente equilibrato, e quello di tecnica anche.

Il dischetto in questione è questo: una serie di allucinatissimi mantra lanciati in un mare di synth e inframezzati da controtempi assurdi. si inizia con "Acerca De La Vida" che dura poco meno di 30 secondi ma in tutti quei venti secondi ti ricorderai di quanto è stata insistente, per entrare nel caldo lounge desertico di "On The First Look", la chitarra fa degli appunti ai sintetizzatori ogni tanto, rimane sotto, da solo una voce della sua presenza. Scivoliamo così in un altro momento ipnotico con "El Oyente", pezzo regolare ma martoriato dal rullante, che sbuca da ogni dove, accompagnato da una chitarra a tratti psicotica a tratti totalmente Hendrixiana, calda e sensuale, fraseggia col piano, insiste sulle stesse note, fino ad improvvise accellerazioni ed esplosioni, poi la favola desertica sparisce e il tempo si dimezza, il ritmo si spezza e tutto diventa prog e veloce, siamo nel mezzo della pazzia. "Mastering Death" è un pezzo noise in medias-res, come inizia si è catapultati in un oblio di synth e mescalito utile a trasportarci in "Los tres "Yo's"", che riprende la folle insistenza dell'intro del disco, ci aggiunge ritmi spezzati e un synth urlante sullo sfondo, ostinati a cascata inquietudini in wahwah. E' il momento di "Reason And Understanding", che si apre con una nota sempre Hendrixiana sulla quale si fa largo un tema a 8-bit, che pare essere uscito fresco fresco da un videogioco anni '80, ma è solo un momento, o meglio, un minuto, ed è ora del "mid tempo"di "El Hacer", col suo groove quasi sensuale, la batteria è la padrona del gioco, Hill è macchina del tempo senza pietà, non ci abbandona mai il synth a note singole, triste e malinconico, ci porta verso le aperture di metà pezzo , come se i Santana e gli Emerson Lake and Palmer andassero a braccetto su una duna del deserto, fino ad impazzire lontani al calare del sole, e alla fine del pezzo. "Hope" è la samba dei synth, un'orgia di rullante, 8-bit e chitarre urlanti che ci porta danzando verso l'ultimo estenunante mantra del lotto "Sobre La Resurreccion", la batteria imperversa su synth figli dei film dell'orrore degli anni'70 (Goblin? Chissà), per tramutarsi in un pezzo prog proprio di quegli anni, un simil-hammond a ballare sul rullante impazzito e sul sempiterno assolo di Lopez, fino alle esplosioni noise-industrial che avvertono l'ascoltatore che si è quasi alla fine, ma solo quasi, perchè torna un groove che porta alla conclusione un insistito che sembra non avere mai fine. E invece eccola qua. 

Impossibile tradurre un disco del genere in poche parole, ma l'operato sconfinato del buon Rodriguez Lopez lo possiamo trasporre con le parole del maestro (più suo, sicuramente, che mio) Don Juan: "Una strada senza cuore non è mai piacevole. Devi lavorare anche duramente anche per intraprenderla. D'altra parte è facile seguire una strada che ha un cuore, perchè amarla non ti costa fatica."

Infaticabile.

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