"Blackwater Park" come titolo, rende bene, anzi magnificamente, tutta l'atmosfera che pervade il disco in questione. "Acque nere" che avvolgono e fanno sprofondare l'individuo, in un catalogo di emozioni soggettive e intime, che non possono che lasciare l'ascoltatore interdetto.

Gli Opeth, quì, hanno deciso di dare il meglio di quanto abbiano mai scritto e messo in musica. Da "The Leper Affinity", per arrivare al primo caposaldo "Bleak", da "Harvest" sino a "Blackwater Park" è un continuo incedere, incamminarsi, spaventarsi, riprendersi, ammaliarsi, e, nuovamente, avvolgersi, in un castello sonoro che poco ha di etichettabile, pochissimo, se si pensa di dover porre gli Opeth per forza in qualche comparto stagno. Gli Opeth sono solamente loro e la loro musica, ogni etichetta che gli si voglia attaccare, ogni affermazione in tal senso, è solo un palliativo che rende solo lontanamente l'idea di quanto questi svedesi riescano a perpetrare. E forse, non è solo la mia "originale" opinione. Gli episodi più toccanti che s'intrecciano, appaiono e scompaiono in ogni canzone, non possono che far riflettere l'ascoltatore, non possono che fargli chiudere gli occhi per animarsi di una luce sfocata e lontana, forse appena percettibile, con la strana sensazione che ci sia, ma che non sia lampante, palese. E i capolavori come questo, permettetemi di dirlo, sanno bene verso cosa vanno a parare.

Tra episodi di brutalità caustica, come certi passaggi di "Bleak" o "The Drapery Falls" o "The Funeral Portrait", a malinconici e raffinati spunti melodici struggenti, come per "Harvest", tra architetture sonore intricate e progressive con richiami al jazz e ad un'avanguardia musicale incredibilmente forbita, al puro spirito glaciale e morboso dello "Swedish Metal"; questo è, in poche parole "Blackwater Park".

Tutto questo sono e rappresentano gli Opeth, meglio. Inutile chiedersi che "cosa siano" e che "cosa facciano", più intelligente, invece, riuscire a penetrare il loro universo e le loro sonorità, per lasciarsene ammaliare, completamente ammaliare ed infettare da un morbo brutale ed assassino eppur piacevole; una dolce tortura che richiede la necessaria attitudine e la passione crescente per le cose avvolte nella nebbia dei ricordi e delle disillusioni.
Ma tanto altro ancora, che è affidato però alla soggettività di ognuno, si riesce a comprendere e a desumere da un'opera come questa, perfetta da qualsiasi punto la si voglia osservare ed analizzare, e non è solo demagogia la mia. Chiunque ascolti l'album, senza la detestabile abitudine di voler abbattere le band famose e facoltose, solo perché tali, riesce oggettivamente a "nond definirlo", non "porlo" in nessun comparto, riuscendo, solo e se mai, a costruirsene un archetipo sfocato e lontano, eppure affascinante, che è suo e di nessun altro; e io, che da tanto tempo ascolto gli Opeth, che ne apprezzo tutti gli album, con questo ho solamente voluto fare un percorso "ad emozioni", anche se generico, su un magnifico lavoro che tanta gente ha contribuito ad aiutare a sognare, e per questo ringrazio gli Opeth e la loro musica.

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