La carriera degli Opeth è stata sempre caratterizzata da album di buonissimo livello... fino al 2008. Sì, "Watershed" è il primo mezzo passo falso della band scandinava capitanata dall'indiscusso re del growl, sir Mikael Åkerfeldt, da sempre la mente compositiva della band, la quale ha costantemente regalato ai propri fan dischi sempre ottimi. Sempre. Sarà perché gli Opeth sanno spaziare bene dal prog al death, per arrivare a momenti più acustici. Proprio per questo motivo buonissima parte dei fan sono cultori (come lo stesso Åkerfeldt, tra la'ltro) del rock progressivo. Sì, la musica degli Opeth effettivamente ha sempre avuto qualcosa di progressive, che di fatto ha caratterizzato il sound della band almeno da "Still Life" in poi. Da questo album poi sono usciti capolavori come "Blackwater Park" e "Damnation" e buoni lavori come "Ghost Reveries".
"Il prossimo album non avrà nulla di death metal. Sarà solamente progressive rock. I fans che apprezzano le sonorità più dure dovranno farsi una ragione di questo cambiamento."
La dichiarazione del frontman ha decisamente suscitato scalpore, da una e dall'altra parte. I fan più legati al periodo metal si sono arresi, aspettandosi una delusione, mentre tutta la schiera dei prog fan ha decisamente esultato, o almeno provato curiosità, per questa versione degli Opeth targata 2011, con l'ausilio di Steven Wilson alla produzione. Qualcuno ha addirittura ipotizzato che magari sarebbe uscito un "Damnation, Pt. 2". Ma tutte le aspettative sono state chiarite a fine settembre, all'uscita di "Heritage".
Come preannunciato da Åkerfeldt, nel disco si respira l'aria del progressive rock. Anche la produzione sembra quasi tipica degli anni '70. Niente digressioni o riff neanche lontaneamente simili al metal. Solo progressive rock. E il disco è suonato benissimo, la sezione ritmica è sempre compatta (anche perché Mendez e Axenrot hanno registrato suonando assieme, e si sente) e le chitarre sono di stampo hard rock. Come se non bastasse, non è finita qui: il colpo finale è l'inserimento di tastiere ed Hammond. Si tratta, quindi, di un disco puramente progressive rock, niente di più, per la gioia degli ascoltatori.
Tuttavia, i dieci pezzi sono eccessivamente scarni e suonati freddamente. Quasi manieristici. Ed è proprio questo che si temeva: zero emozioni, tutta musica suonata così, quasi fosse un semplice divertissement. Tanto materiale, tante influenze da tante band: si prende molto dal progressive rock classico, qualcosa anche dalla Canterbury Scene e dal Progressive Folk, e molto anche dall'hard progressive. Gli Opeth diventano una semplice tribute band. E Mikaelino riesce anche a dare la sua peggiore prova vocale di sempre, cercando di imitare il LaBrie degli anni '90 non riuscendoci e perdendo tutta quell'intimità che aveva sempre caratterizzato le sue parti in clean. La poesia di "Damnation" è svanita nel vuoto, ora resta solo un cantante senza personalità in cerca di identità già ben note.
Dulcis in fundo, nella sua ora di durata (che non è neanche troppo per gli Opeth), "Heritage" riesce benissimo nell'obiettivo di essere prolisso e noioso. Si può vedere una band stanca, così vuota, esausta anche considerando solo le parti strumentali che vengono suonate perfettamente e con precisione millimetrica. Ma è il modo in cui la band si approccia ad essere scadente. È difficile non sbadigliare durante l'ascolto. Se vi drogate ogni giorno con massicce dosi di King Crimson, Jethro Tull e Focus, non provatelo, a meno che non vogliate ascoltare una tribute band dei complessi in questione. Non sentirete quasi nulla di nuovo. Forse una delle pochissime composizioni che si possono salvare è "Marrow of the Earth", ma anche questa risente del problema già esposto: comunica poco, è calma, fin troppo. Come la copertina, una delle più brutte e pretenziose dell'intero progressive rock. Ma fortunatamente, gli Opeth ci hanno abituato ad altro, ci hanno viziato con i lavori precedenti ed hanno un'ottima carriera alle spalle. Un passo falso ci sta, ma c'è da essere poco fiduciosi basandosi sugli ultimi avvenimenti riguardanti i grandi del progressive.
"Volevo fare un disco così da quando avevo vent'anni."
Con tutto il rispetto, mr. Åkerfeldt, ma c'era davvero bisogno di una povera emulazione del rock progressivo settantiano, che non aggiunge nulla a quanto detto quarant'anni fa?
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Altre recensioni
Di Francesco 1987
L’eredità che gli Opeth si sono apprestati a raccogliere è infatti quella del Progressive.
Il disco è ispirato, magistralmente suonato e ben prodotto, ancora una volta con la collaborazione di Steven Wilson. E si sente.
Di JohnHolmes
Heritage è un album diverso, insolito, su questo non c’è dubbio.
Sono audace nel considerare gli Opeth come il gruppo metal più innovativo degli ultimi quindici anni.