Nel 2010, in occasione del ventennale di carriera, gli Opeth hanno celebrato l'importante traguardo con un tour chiamato "Evolution XX: An Opeth Anthology", sei date tra Europa e Stati Uniti. Dall'esibizione del 5 aprile a Londra è stato tratto "In Live Concert at the Royal Albert Hall", terzo album dal vivo per la band.

Ciò che distingue l'album dai precedenti "Lamentations" e "The Roundhouse Tapes" è la presenza di una scaletta veramente corposa che offre agli svedesi la possibilità di esprimere al meglio le loro abilità, forti di una lineup rodata e coesa, in cui ogni membro gioca un ruolo fondamentale.

La prima metà del concerto è occupata dall'esecuzione per intero dell'album che, nel 2001, li lanciò verso il successo internazionale: "Blackwater Park". Si è già detto molto su di esso, dal canto mio posso dire che è suonato in maniera impeccabile, senza sbavature: l'esecuzione procede sciolta e gli svedesi sono metronomici ma non per questo senza passione, anzi! Il primo set regala momenti molto intensi (The Leper Affinity, Blackwater Park) e piacevoli sorprese (un'Harvest delicata e suadente) ma il meglio deve ancora arrivare...

È il momento dell'"Opeth Anthology": un brano da ogni album, in successione cronologica. Si parte con le epiche Forest of October e Advent, rispettivamente da "Orchid" e "Morningrise", i primi due album, da molti additati come lavori acerbi ed incompleti che, tuttavia, facevano intravedere le intuizioni di una band che avrebbe fatto strada. A distanza di quindici anni si può dire con certezza che di strada, gli Opeth, ne hanno fatta, e ciò che un tempo fu acerbo è ora più maturo che mai: le canzoni brillano di una luce nuova e il tastierista Per Wiberg contribuisce notevolmente ad arricchire il sound, tessendo atmosfere oscure e affascinanti al tempo stesso. A seguire, altre due perle: April Ethereal ("My Arms, Your Hearse") e The Moor ("Still Life"). Il tasso tecnico comincia a crescere e, con esso, la creatività compositiva ma il quintetto non sbaglia un colpo e svolge un ottimo lavoro. L'evoluzione continua: da Deliverance è estratta la violentissima Wreath, eseguita con ferocia inaudita (Axenrot inserisce pure un blast-beat alla fine!) mentre è Hope Leaves a rappresentare il malinconico candore di "Damnation": il vero protagonista è Fredrik Akesson, che si ritaglia il suo momento personale, inserendo un assolo grandioso ed efficace nel finale, da brivido. Da "Ghost Reveries" è stato scelto uno dei pezzi più complessi, Harlequin Forest, una delle migliori esecuzioni dell'intero concerto, sia per precisione che per intensità. A chiudere lo spettacolo è incaricata la canzone che meglio rappresenta il nuovo corso degli Opeth, The Lotus Eater, dall'album "Watershed". Geniale, irriverente, diretto, multiforme... gli aggettivi si sprecano per questo brano, che colpisce nel segno e conclude maestosamente un concerto eccezionale.

A conti fatti, si può dire che, a parte alcuni dettagli opinabili (come il suono troppo asciutto, o il growl eccessivamente secco di Mikael Åkerfeldt), "In Live Concert at the Royal Albert Hall" offre una preziosa testimonianza su una band, nel bene o nel male, al massimo della forma, capace di regalare emozioni forti attraverso una musica difficile, per nulla immediata, ma dallo stile unico e inconfondibile.

Grazie ancora, Opeth, per vent'anni di grande musica!

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