In tanti stanno attendendo da tempo qualcuno in grado di rinverdire i fasti dei Black Sabbath, qualcuno in grado di riallacciarsi a quel modo lugubre ma a suo tempo innovativo che ha generato una nuova concezione della musica, un nuovo genere. Tantissime realtà nel corso dei decenni hanno tentato di copiarli, imitarli, senza mai raggiungere quell'attitudine e quei risultati. Anche questi statunitensi Orchid ci hanno provato e senza volerli accostare o paragonare alla creatura di Iommi, va comunque sottolineato come il loro lavoro di debutto "Capricorn" abbia saputo lasciare il segno. Si è tornati ad un doom "vintage", acido, grezzo quanto basta per poter spazzare via il nuovo metal patinato, orchestrale e autoreferenziale che ha ormai invaso questo panorama musicale. Un ritorno al passato che con "Capricorn" era riuscito molto bene. Ma il problema per i quattro di San Francisco è riuscire a scrollarsi di dosso l'inevitabile paragone con i Black Sabbath, quell'accusa di essere una "band clone". Il difetto più grande del nuovo disco, "The Mouths Of Madness" (aprile 2013), è proprio questo: l'incapacità di svincolarsi dai BS.

Inevitabile il raffronto con il Sabba Nero: inevitabile per la grandezza e l'importanza che questa entità musicale ha avuto per la codificazione e la nascita stessa dell'heavy metal classico, gettando le basi per quel mondo orrorifico e "teatrale" poi configuratosi pienamente durante gli anni '80. Per questi motivi gli Orchid hanno sulle spalle il peso di doversi svincolare dai Black Sabbath e nonostante l'ottimo disco d'esordio il paragone sarà sempre un metro di giudizio per loro. "The Mouths Of Madness" rispetto al suo predecessore ha un'anima maggiormente derivativa, meno acid/doom e più rock, ma senza perdere la genuinità di un sound di nicchia. Un approccio più diretto che ridimensiona in parte il ruolo del vocalist Theo Mindell, il cui timbro "nasale" si adatta meno a composizioni di questo tipo. Non è un caso se le canzoni più riuscite come "Silent One", "Nomad" e "The Loving Hand Of God" sono quelle che più hanno in comune con il mood corposo di "Capricorn". Molto riuscito anche il singolo "Wizard Of War", la più diretta e semplice del lotto ma che funziona in modo perfetto, sia musicalmente che nel refrain.

"The Mouths Of Madness" è il lavoro di un gruppo con enormi potenzialità. Una band capace di riprendere il doom d'annata per riportarlo in auge senza gli orpelli del moderno metal commerciale. Si percepisce un leggero calo di ispirazione e di inventiva nella costruzione dei brani, un fattore forse legato alla virata verso lidi più hard rock oriented. Una realtà musicale che per riuscire ad avere una propria ragion d'esistere dovrebbe cercare probabilmente una maggiore personalizzazione, pur nella positività della propria proposta.

1. "Mouths Of Madness" (5:51)
2. "Marching Dogs Of War" (5:30)
3. "Silent One" (7:26)
4. "Nomad" (6:23)
5. "Mountains Of Steel" (6:58)
6. "Leaving It All Behind" (7:20)
7. "The Loving Hand Of God" (6:10)
8. "Wizard Of War" (3:19)
9. "See You On The Other Side" (7:17)

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