Sapete bene cosa succede, a volte. Ti passa un video, la curiosità s’accende ed è fatta. Se poi il pezzo ti piace, passi al secondo e poi al terzo per finire con un “cazzo ma è una figata”, ed è puro godimento.

Ossia è Daniel Davies, un inglese bristoliano (una città, una certezza) che pubblica nel 2019 “Devil’s Dance” (bandcamp), un cupo affresco elettronico amalgamato in un ambient pessimista e decadente. La fine del mondo pare alle porte, il diavolo si presenta felice e danzante mentre l’umanità è sull’orlo del collasso.

I pezzi si dipanano tra mefistotelici dub pressanti (“Dub Hell” e “Hell Version” con basso finale simil Cure), ambient post-industrial (l’apertura fastidiosa di “Concrete” con finale onirico) e marciume militare minimal-techno (la titletrack “Devil’s Dance). E, se per caso in “Radiation” e nel chilometrico finalone di “Vertigo” l’idea dell’orchestrina sul Titanic vi riaffiora nella mente, non vi preoccupate, va tutto bene: non c’è un transatlantico che sta affondando ma un intero pianeta che sta bruciando. E un sax solitario annegato in un disagio ambient sembra fotografare l’imminente catastrofe.

Ossia è una piacevole sorpresa per gli amanti del genere, è una boccata di aria malata per chi volesse affrontare il futuro con più consapevolezza, è l’ennesimo grido d’allarme che resterà senza risposta.

Perché, come sempre, dentro di noi non sono le domande a mancare ma le risposte giuste.

War is coming to town...

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