"Battere, percuotere" questa è la traduzione italiana dell'aggettivo thrash, un termine che, accoppiato al sostantivo Metal, è più una dichiarazione d'intenti che altro. Sorto ad inizio anni '80 questo sottogenere del metallo pesante era quanto di più genuinamente arrabbiato era possibile trovare in giro: una miscela di hardcore punk ed heavy metal classico capace di far scapocciare un'intera generazione e ancora oggi è oggetto di venerazione e culto. Non starò qui a citarvi gli album più rappresentativi del Thrash Metal ottantiano perché li conoscono pure i sassi, l'unica cosa sulla quale mi preme soffermarmi un minuto l'idea di "rabbia genuina" che tal genere emanava e che nel corso degli anni si è persa: quelle ritmiche, quelle vocals talvolta acide e qualche volta malinconiche e quelle chitarre che sapevano sia far pogare che piangere erano un miscuglio che aveva un urgenza divulgativa prettamente umana e reale. Si urlava perché non c'era altro modo per combattere i propri demoni, o li si percuoteva o ci si faceva percuotere, e gli ascoltatori lo percepivano... Poi arrivarono gli anni '90 col suo carico di camice di flanella e blasfemie Death e Black Metal, eppure proprio all'inizio di quello strano decennio musicale una band diede alle stampe forse l'ultimo grande album Thrash Metal inteso nel suo senso più classico. Ma andiamo con ordine: quei quattro ragazzi provenienti da Arlington, Texas, erano già attivi da un bel pezzo quando diedero alle stampe "Cowboys From Hell", un lavoro capace di portare i Pantera, così si chiamavano, nell'olimpo della musica dura mondiale: un concentrato di riff tirati, vocals rabbiose ed un groove fino ad allora mai sentito in un disco del genere. Un furore genuino e vitale, che pulsa violento nelle corde vocali di un Phil Anselmo più duttile che mai: ora delicato ed emozionale, poi ad un tratto screamer "halfordiano" ed infine furioso come un cane in catene. Il nostro regge alla perfezione l'urto di una sezione ritmica ridotta all'osso ma comunque capace di travolgere tutto quello che gli capita a tiro: Vinnie Paul che crea magie con la doppia cassa, Rex Brown che sorregge il tutto col suo basso preciso e tonante e Dimebag Darrell che confeziona riff acidissimi su cui poggia soli di rara bellezza ed incisività. Era tutto vero e concreto, niente filtri vocali, trigger esasperati o altro, solo rabbia vera, di quella che ti scivola dentro le vene e ti avvelena il sangue, ben espressa da una "Domination" che col suo incipit può smuovere pure le montagne, una furia che alla fine conduce anche alla riflessione, ad un'amarezza che in "Cemetary Gates" diventa lo struggente cantato di un Anselmo talmente toccante da risultare commovente: un uomo che cerca risposte alle sue domande per trovare una strada che in quel momento sembra non volersi mostrare. Splendido poi il solo di Darrell, una sorta di urlo liberatorio in una canzone che ha tanto il mood di una preghiera. Siamo davanti alla gemma dell'album, un pezzo che mi sento di affiancare ad altro classico come "Welcome Home Sanitarium" dei Metallica, due brani che ancora oggi a distanza di anni mi fanno commuovere ad ogni ascolto. Questa era l'essenza del Thrash Metal primordiale: violenza e melodia, furia e riflessione, potevi correre come un forsennato insieme agli Slayer oppure potevi riflettere sulle note dei Four Horsemen, una lezione che i texani avevano assimilato alla perfezione portandoli a creare badilate come "Primal Concrete Sledge", con quella doppia cassa che ti mitraglia l'anima, oppure buttarti in quell'incubo estraneante ed "oppiaceo" che risponde al nome di "Sleep", corredata da un altro grande solo del mai troppo compianto Darrell. In tutto questo calderone non si può non citare la titletrack, una "Cowboys From Hell" che funge da overture per tutto quello che verrò dopo di lei: un mix di groove, accelerazioni ed un refrain ficcante ed efficace: un biglietto da visita come pochi altri se ne sono visti, in poche parole un capolavoro, come del resto tutto il disco, un piccolo gioiello da ascoltare ed ascoltare...

Carico i commenti... con calma