Mesi di forzata assenza scrittoria su Debaser...troppi...

Provo a rimettermi in carreggiata; ho bisogno di sicurezze in questo dannato periodo.

Ed allora il nuovo disco dei Paradise Lost mi offre il suo ceruleo appiglio.

Obsidian è un lavoro che ho da subito apprezzato, dai primi ascolti dello scorso Maggio.

Non delude le attese; vanno sul sicuro e mettono in piedi una serie di canzoni che rappresentano la summa di una carriera che ha visto la buia luce nel lontano 1988.

Sono sempre loro quattro: Nick alla voce, Greg ed Aaron alle chitarre e Steve al basso. Si conoscono alla perfezione, da quando baldi giovinastri si misero insieme sul finire degli anni ottanta. Ognuno ha il suo preciso compito nella stesura dei pezzi; poche settimane di registrazione ed il gioco è fatto.

Un paio di singoli apripista per annunciare l'importante rientro discografico; uno dei più agognati per il sottoscritto in questo balordo 2020.

Non siamo ai livelli spaventosi dei precedenti Medusa (2017) e soprattutto The Plague Within (2015); ma Obsidian è comunque un eccellente lavoro.

Un intro leggero di tastiere...così si apre il disco.

La voce di Nick è pulita, soave, tenue. Poi il primo brano deflagra, esplode e partono i fendenti Gothic - Doom che sono un riconosciuto ed indelebile marchio di fabbrica del Paradiso Perduto.

La voce diventa Growl selvaggio, selvatico, pesantissimo. Gli strumenti rumoreggiano a dovere. Questa è "Darker Thoughts" che è un continuo alternarsi di suoni puliti e grevi per i quasi sei minuti di durata.

La successiva "Fall From Grace" è il logico proseguimento; danno tutto ed il meglio nei primi brani come è giusto che sia. Ancora Doom, ancora pesantezza diffusa, stridente, tentacolare, oppressiva. Bianco e nero, come l'alternarsi della voce di Nick ora pulita, subito dopo offensiva e drammatica. Classe da vendere; forza primordiale messa in atto.

La dinamica ed oscura "Ghosts" che per velocita di esecuzione li avvicina ai migliori Tiamat.

La spettrale "The Devil Embraced" è la canzone che prediligo dell'album. Grevità, lentezza spasmodica; oscurità dilagante, asfittica. Un capolavoro avvicinabile ai migliori lavori degli anni novanta.

Basta...non scrivo altro...ci sono ancora sette brani...tutti meritevoli...tutti dannosi ma vitali per me...ENDING DAYS...

Diabolos Rising 666.

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