"La Vie Champêtre"

L'azzurro del cielo stava cominciando ad oscurarsi, soffocato dai fumi vomitati dalle torri delle fabbriche, da poco erette a testimonianza dell'esplosivo ed irrefrenabile potere del progresso. La purezza dell'aria sarebbe stata la prima ad andarsene, seguita dal fitto verdeggiare dei boschi, dal cristallino riflesso dei ruscelli incontaminati e dal profondo silenzio dei campi, un tempo interrotto soltanto dall'ostinato canto dei grilli. Il capitalismo industriale aveva completato la sua ascesa, catapultando i più avidi imprenditori in cima ad una grottesca catena alimentare, nel fondo della quale strisciavano e rantolavano i bambini nati nei ceti più poveri, costretti a morire soffocati nelle miniere di carbone o a finire mutilati dagli ingranaggi dei telai meccanici.

In questo roseo scenario di meravigliosa evoluzione venne a svilupparsi, in Francia, una tendenza artistica di denuncia, che, rifiutando i canoni ideali imposti dall'arte classica, mirava a mostrare la cruda realtà per quello che effettivamente era, scatenando lo sconcerto e l'indignazione dei sofisticati signorotti borghesi, anestetizzati dal lusso e dalle comodità della Parigi industrializzata. Tra i maggiori esponenti del movimento realista viene a tutt'oggi erroneamente annoverato il pittore accademico William Bouguereau, il quale, pur essendo vissuto a cavallo delle due rivoluzioni, ha sempre preferito raffigurare un mondo bucolico e libero dai perversi artigli dell'economia, nel quale l'unica traccia di cosiddetto realismo è da ricercarsi nella fotografica rappresentazione del volto sereno e del sorriso imbarazzato di spensierate bambine, sovente protagoniste dei suoi dipinti, intente a giocare nelle campagne e ad immergersi nel verde dei prati, non ancora alla portata delle fameliche fauci dei demoni che infestavano le città a colpi di malattie, sfruttamento e miseria.

Molti decenni dopo, sempre in Francia, Patrick Forgas, un batterista di stampo jazz artisticamente svezzato dal ripetuto ascolto dei primi Soft Machine, agendo esattamente al contrario di William, dedicò una serie di opere a quel periodo storico così "fiorente" e produttivo, concentrandosi particolarmente su uno dei monumenti più rappresentativi dell'epoca: la "Grande Roue" di Parigi, concepita nell'Esposizione Universale del 1900 e demolita vent'anni dopo per sopperire all'ingente bisogno di metallo, necessario per la ricostruzione dei luoghi rimasti distrutti durante la Prima Guerra Mondiale.

Ironicamente, a dispetto delle intenzioni totalmente opposte, il terzo album di questa collana, pur volendo continuare il discorso cominciato nel 1997 con il vigoroso jazz elettrico, orbitante intorno a sax e chitarra, di "Roue Libre" e continuato nel '99 con i volteggi dei fiati e delle tastiere di "Extra-Lucide", finisce col discostarsi nettamente dai suoi impetuosi fratelli maggiori, proponendo un jazz progressivo dolce e vellutato, dalla personalità pacata e romantica e dall'invidiabile potere evocativo, il quale, neanche a farlo apposta, rimanda fortemente alle atmosfere incantate che trasudano dalle splendide tele del Maestro Bouguereau, scomparso esattamente un secolo prima dell'uscita di questo "Soleil 12", live di classe 2005 e predecessore di quell'"Axe du Fou", pubblicato quest'anno, che continua ad esplorare le straordinarie proprietà del violino solista, seppur con una formazione quasi completamente rinnovata.

È quindi l'archetto di Frédéric Nore che, agitato alla stregua di una bacchetta magica, apre un varco attraverso realtà idilliache in cui il violino e i fiati descrivono voli fantastici oltre le nubi, diradate dalle solari danze del sassofono di Stanislas De Nussac ("Soleil 12"), che, snodandosi tra elogiativi soliloqui di tastiera, sax alto e batteria, inventa scenografie fatate in continuo mutamento, nelle quali i capricciosi e gioviali suoni del complesso si divertono inizialmente ad impersonare carezzevoli e languidi sussurri, per poi trasformarsi in travolgenti assalti, enfatizzati dal ritmo incalzante del basso di Kengo Mochizuki ("Pievre à la Pluie"). Il tastierista Igor Brover, dal canto suo, stende tappeti melodici dalla candida aura sacra, sui quali si poggia soavemente l'onnipresente ed elegantissimo violino, che, a contatto con la tempestosa batteria di Patrick, comincia a turbinare vorticosamente ("Éclipse"), lasciando il sax alto di Denis Guivarch e la tromba di Sylvain Gontard a giocare all'aperto, raccogliendo margherite e scambiandosi ghirlande di fiori, sempre tenuti d'occhio dai gentili arpeggi della chitarra di Sylvain Ducloux, che, a tempo debito, decide di supportare i compagni in maniera più energica, ricongiungendoli agli altri strumenti e trasportando così questa mastodontica composizione (35 min.) incontro al suo articolato ed iridescente epilogo ("Coup de Théâtre").

Curiosamente, così come è successo per il geniale William, anche Patrick viene tuttora collocato tra i capisaldi di un genere che, in realtà, gli appartiene soltanto parzialmente, generando per questo una certa confusione intorno alla musica proposta dalla sua "Band Phenomena". La verità è che il Canterbury Sound del quale è stato fatto alfiere e che gli è valso addirittura l'ingiustificatissimo soprannome di "Robert Wyatt francese", influenza le sue composizioni in una percentuale piuttosto modesta, se non forse per il lontano debutto solista "Cocktail" del 1977, dove gli echi wyattiani si concentrano essenzialmente in uno spudoratamente derivativo stile canoro, che non riesce comunque ad innalzare l'opera al livello delle teste di serie inglesi, superiori sotto ogni aspetto ed arricchite da quell'irriproducibile humor, caratteristico dei simpatici abitanti delle terre del Kent.

Perciò se è vero che, come era solito dire Bouguereau ai suoi studenti, "bisogna sempre ricercare la bellezza e la verità...", credo sia consigliabile lasciarsi alle spalle la carriera solista non troppo convincente di un batterista ultimamente emigrato nei territori ritmicamente poveri dell'ambient ("Synchronicité", 2002) e concentrarsi invece sul jazz prog estremamente più personale, rinfrescante e coinvolgente della sua band, la quale, da quando ha preso vita, non fa che sfornare brillanti prove, l'una migliore dell'altra.

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