Dopo averlo comprato e averlo ascoltato un paio di volte si ha la sensazione di avere tra le mani un piccolo grande gioiello.
Paul McCartney è il più grande autore vivente di canzoni. Il suo "senso della canzone" è incredibile, pari forse solo ai grandi autori della canzone americana del Novecento.
Questo disco è pieno di capolavori compositivi? Probabilmente no: questo disco è pieno di belle canzoni, scritte benissimo sia dal punto di vista armonico/musicale che letterario (non dimentichiamo mai la statura del Macca autore di testi, spesso vicino alla poesia pura e quasi sempre sottovalutato per la grandezza del musicista e dell’interprete).

Ci si può chiedere, a questo punto, cosa distingua questo disco dell’ex Beatle dal resto della produzione solista del recente passato. Molte cose. Innanzitutto erano moltissimi anni che Paul non scriveva e suonava tutto in prima persona, come nel primissimo disco da solo dopo lo scioglimento del più famoso complesso della storia della musica cosiddetta leggera.
Poi, e questa è a mio avviso una novità assoluta, l’impeccabile produzione di Nigel Godrich dà a tutto l’album un'atmosfera malinconico/autunnale che è perfetta non solo con la stagione che sta arrivando, ma col concetto di "canzone matura". McCartney, infatti, non è più un ragazzino. Si sente nella voce, nel tono generale delle composizioni e nell'insieme delle sensazioni che, in senso lato, il disco trasmette.
Un disco che potrebbe correre il rischio di passare per triste, se la definizione non fosse semplicistica e, di fondo, stupida.

Sicuramente interessanti alcuni dati ulteriori che ne segnano la distanza dai prodotti (pur eccellenti) del recente passato: quasi sempre si tratta di composizioni eseguite, e probabilmente scritte, interamente al piano (con l’eccezione di un paio di episodi), dove le chitarre, la batteria e l'immancabile basso fanno da contorno a un quadro che sarebbe già quasi perfetto per pianoforte e voce.

L’esame dei singoli brani è senz'altro attività da lasciare a chi comprerà e ascolterà l’album. Personalmente posso segnalare "How Kind Of You" e "Riding To Vanity Fair", ma siamo nel soggettivo puro, dal momento che le composizioni si equivalgono tutte, e tutte sono certamente iscrivibili al miglior artigianato della canzone moderna.
Emozionante, poi, l’inizio molto Beatles di "Fine Line". Ma è l'unico episodio che potrebbe uscire da una session inedita dei Fab Four. La critica dominante - sviante come non mai - ne parla come di un disco-Beatle. Niente di più lontano dalla realtà. È il disco cantautorale puro di un grandissimo autore, che per caso (mica tanto…) si trova anche ad essere uno degli inventori, se non l'inventore stesso, della canzone pop del secondo novecento.

Nella perfezione generale dell'opera merita anche una menzione la fotografia della copertina, inedita, o quantomeno per me sconosciuta, scattata dal padre di Macca quando lui era giovanissimo, nel retro della casa, a strimpellare una chitarra che poi - bel contrasto - in questo disco si sentirà tutto sommato poco.
Ultimo dato, del tutto mio personale, è l’apprezzamento per un disco di soli meravigliosi 47 minuti. Come una volta.
In questo tempo si può dire tutto quel che c’è da dire. E Paul McCartney, a dispetto degli oltre quarant'anni di carriera, da dire pare avere ancora tanto.

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