Probabilmente a Simon Jeffes, musicista britannico, leader dell'Orchestra del Cafè Pinguino, è toccata la morte del poeta. Ovvero quella di colui che ancora avrebbe potuto fare e dire in quantità ma che la vita, attraverso il classico male incurabile, ha deciso di portarsi via ben prima che la partita fosse davvero finita (per la serie "se ne vanno sempre i migliori"). Ma Simon si era già giocato una discreta partita con la morte, nel lontano 1972, quando si trovò a letto stordito da un avvelenamento da pesce marcio, in preda alle visioni, specialmente a quella di un edificio in cui la gente viveva senza emozioni, senza gusto, costantemente sorvegliata da un occhio elettronico che ne registrava ogni mossa. Il giorno dopo, sentendosi meglio e ancora stupito per tale visione, Simon va a prendere il sole. A un certo punto, gli saltano in testa parole strane: "Io sono il proprietario del Penguin Cafè. Ti dirò cose a casaccio". E avanti a parlare di quanto il caso e la spontaneità fossero importanti nella vita. Simon ne è fulminato. Quando decide di mettere insieme il suo colorato e multietnico ensemble, non si fa scappare quei concetti.

"Broadcasting From Home" arriva tre anni dopo il loro omonimo secondo album. Rispetto a quell'opera giocosa e ammiccante, quest'album recupera forse un pizzico della seriosità del primo, restando sempre nei solchi del loro classico stile in gran parte anti-accademico. Al solito corredato dalle suggestive visioni pittoriche di Emily Young, l'album prosegue, dunque, nel loro programma di fusione, ancor più privo di limiti rispetto al passato: "Music For A Found Harmonium" (scritta, appunto, su un harmonium ritrovato per le strade di Tokyo) parte cupa e misteriosa, evolvendosi, nel giro di neanche un minuto, in un curioso balletto per concertisti da camera, con gli archi a sgranare la loro demenziale melodia e il charleston a tenere un tempo soffice e discreto in sottofondo. è musica che non conosce confini, che non sa prendere se stessa sul serio e che, in fondo, è così godibile proprio per questo: "Prelude & Yodel" profuma di folk sudamericano, ma il violino le conferisce una malinconica maestosità più in linea con la musica classica, mentre "White Mischief" mescola il romanticismo di un pianoforte che distribuisce note eteree e sognanti più o meno a casaccio a una nervosa e ossessiva melodia che si fa anche ritmo attraverso una singolare fusione di percussioni e archi. Il progetto di Jeffes è, senza dubbi, quello di stupire, confondere: da una parte egli si cala perfettamente nella parte del consumato compositore classico, come in "Sheep Dip", dove archi mesti e romantici la fanno da padroni, ma poi ritrova la sua parte bambina e colorata in "In The Back Of A Taxi", con ancora tracce di Sud America, zona Perù-Bolivia, fino a che alla chitarra si sovrappongano i fiati, qui alla loro prima apparizione su un album della PCO, e si parta tutti per un nostalgico viaggio nella Cuba pre-Castro. Fiati che ritornano nella sorprendente "Music By Numbers", dove Jeffes ricorre persino ai ritmi metronomici della drum machine, in una sorta di reggae impazzito e pirotecnico, dove sul finale i suddetti strumenti donando al loro sound una grandeur davvero senza precedenti nei loro album. Ma egli sembra interessato anche a riallacciarsi al suo stesso passato: "Another One From The Colonies" e "More Milk" citano fin dal titolo due capolavori passati come "From The Colonies" e "Milk". La prima è uno scatenato balletto al cuatro e ai triangoli, mentre il pianoforte, quantomai dolce, porta avanti la sua ipnotica e giocosa melodia, mentre la seconda, considerevolmente meno sconnessa e più "concreta" rispetto a "Milk", si appoggia su un morbido tappeto di percussioni su cui si fa incalzante e ossessivo il suono del triangolo, i ronzii simil-distorsioni che arrivano da lontano, e il surreale accompagnamento del basso che interviene di quando in quando con una minuscola melodia. Un'altra bizzarra sorpresa sono i suoni "nintendiani" del pianoforte in "Heartwind" (ascoltare per credere, sembrano usciti dal periodo d'oro della casa di Kyoto) e la eniana "Isle Of View (Music For Helicopter Pilots)", già dal titolo imparentata con le creazioni ambientali dell'eccentrico musicista inglese, con quella melodia di chitarra sull'inizio a predire addirittura il post-rock di una band come i Dirty Three, prima che un quasi impercettibile ritmo percussivo dia il via alle fasce grevi degli archi e a note sparse e oniriche di pianoforte. L'album si chiude con un tono romanticamente elegiaco, con "Now Nothing", altra esibizione dell'amore di Jeffes per la musica di camera, in cui una voce (!!!) femminile canta il suo struggente addio senza parole prima dell'ingresso degli archi che, nel giro di due minuti, si spengono nelle note nostalgiche del pianoforte. 

L'ultimo album della POC sarà "Union Cafè", del 1993. Simon Jeffes, come già detto, ci ha lasciati ben quasi undici anni fa, da allora l'Orchestra si è riunita solo per una serie di tre concerti sold out alla Union Chapel di Londra nel 2007. Non sarebbe lecito chiedere ai musicisti rimasti di riprendere in mano il nome Penguin Cafè Orchestra nelle loro mani, fattibile o meno che ciò possa essere. Lungi dall'essere un dittatore, Simon Jeffes era un musicista dotato di gran classe e di una sua personalissima visione del mondo, la sua musica non è politica, eppure invita al cambiamento, non è religiosa, eppure invita a vivere in comunione con la natura, non è sociale, eppure cerca di penetrare l'alienazione che attanaglia la vita moderna e di riportare quest'ultima a un'ideale di pace e amore ben più consistente di quello che gli hippie persero per strada negli anni '70. Non era pop, non era avanguardia, non era niente di tutto ciò. Semplicemente era musica, innamorata del mondo e della vita, musica che, come i quadri di un pittore ormai passato a miglior vita, hanno acquistato un valore tremendo dopo la morte di colui che ne è stato il principale artefice. Il miglior modo di ricordarlo e di ricordarli è quello di ascoltare quegli album. Cercando, possibilmente, di imparare qualcosa.

Carico i commenti... con calma