"This is an irony-free recording", avverte Mr. David Thomas. E c'è poco da dargli torto. Semmai "Why I Hate Women" (a detta di Thomas un titolo che potrebbe essere stato dello scrittore Jim Thompson) suona terribilmente serio, criptico, ossessivo.

Registrato dalla stessa formazione che cinque anni fa pubblicò "St. Arkansas" (Robert Wheeler - sintetizzatori e theremin, Michelle Temple - basso e Steve Mehlman - batteria più il chitarrista dei Two Pale Boys Keith Molinè) questo nuovo capitolo dell'inafferrabile saga ubuana si immerge in atmosfere che oscillano tra l'espressionista e il malinconico, tra il fosco/onirico e il disperato/martellante. Thomas, infatti, affida le sue paranoiche narrazioni dell'inconscio di volta in volta a forme espressive diverse: dalla tensione ritmica funky e demenziale di "Two Girls (One Bar)" al cupo e sfumato deliquio slo-core (con tracce di noise e psichedelia) di "Blue Velvet", dall'hardcore (a metà tra Fugazi e Husker Du) della sgraziata "Caroleen" alla recitazione ironica di "Texas Ouverture".

Incomprensibile a partire dal titolo, l'album scorre via con sufficiente fluidità (penalizzata da un pezzo inutile come "My Boyfriend's Back") e senza creare troppi problemi a chi si accinga per la prima volta ad ascoltare gli Ubu. Chiaro: la voce di Thomas non è da Top Of The Pops (e questo è certo un bene) e il resto della band non fa nulla per assecondare alcuna esigenza di "normalità", va da sè quindi che brani come la già citata "Blue Velvet" e "Babylonian Warehouses", sprofondati come sono in tonalità che rimandano al blues, alla new wave e addirittura al trip-hop si riempiano di disturbi di synth, screziature amorfe di theremin e pennellate chitarristiche vanesie e sfuggenti, ben lontane da un facile e redditizio melodismo. Tuttavia è un album perfettamente abbordabile da chi si nutra di musica rock e simili senza porsi limiti di ascolto. Un cenno lo meritano anche i testi, più che mai focalizzati sulla psiche e sui sentimenti a dispetto delle disperate analisi sociologiche della società post-industriale che costituivano l'ossatura delle prime prove: versi come "I got a job for life", "I fear it's you, so I hope it's you" e "There are ghosts in the barn and I don't like what I hear" non danno alcun ragguaglio sul significato di queste allucinate odi all'assurdità della vita, ma rendono bene il senso di spaesamento e bizzarria che pervade le undici tracce di questo "Why I Hate Women".

Non ci sarà l'ironia, ma la qualità, almeno per ora, non è finita. E sebbene alla fine non si capisca se davvero Thomas odi le donne oppure no, si riesce a intuire un altro concetto, ben più importante: ovvero che ai Pere Ubu di fare soldi a palate non frega assolutamente nulla, mentre di fare album di qualità, surreali, rinserrati quasi snobisticamente nel loro raggelante ermetismo, si. Eccome.

Carico i commenti... con calma