Crollano palazzi sistematicamente, crepe nei muri strappano l'intonaco dalla superficie, piccoli uomini si gettano nel vuoto, dietro le fiamme inceneriscono cose e pensieri. La città marcisce in una luce oscura, è notte ovunque, sono diverso da me stesso. Aiuto, non riconosco questi gesti, queste abitudini disumane come una prigione. Un canale televisivo trasmette persone vestite da turisti, che discutono di quanto siano educati i cinesi sulla metro. Il gocciolio lento del rubinetto riempie a poco a poco il silenzio in casa, e ispira la mia solitudine.
"..Intruders happy in the dark. Intruder come, intruder come and leave his mark, leave his mark.."
Dopo i primi due lavori solisti prodotti dagli ingombranti Bob Ezrin e Robert Fripp, che celavano ancora un artista in embrione, Peter Gabriel decide di registrare il suo terzo omonimo lavoro presso uno studio mobile situato a Bath, dove vive. Nella tarda estate del '79 iniziano le session di "Peter Gabriel III", sei mesi che includono una lunga e complessa fase di missaggio autunnale. Il disco è pronto e cotto già nel gennaio 1980, però turbolenze creative con l'etichetta Atlantic ne rinviano ottusamente la pubblicazione. Dirigenti furbacchioni della storica major, infatti, reputano il nuovo lavoro dell'ex Genesis un certissimo "suicidio commerciale". Dio li abbia in gloria, loro e Syd Nathan.
A febbraio esce il 45 giri "Games Without Frontiers" (Kate Bush ai cori) e le classifiche dell'epoca ringrazieranno fin da subito; mentre a giugno dell'Ottanta è pronto a far bella mostra di sé, dalle vetrine dei negozi, l'atteso e inedito capitolo #3 gabrieliano (gentilmente mandati a coltivare cetrioli e zucchine quelli dell'Atlantic, la label discografica negli States ora è Geffen). L'inquietante cover di "Peter Gabriel III" ("Melt" in alcuni mercati) dissolve letteralmente il passato dell'autore, e costruisce un'identità prossima al suo vero volto artistico: il risultato è un'opera mirabile per istinto, urgenza creativa ed esplorazione di linguaggi musicali vergini. Un suono mutante, che cola e azzera l'immagine che conosciamo in qualcosa di sconosciuto. La simbolica maschera di gomma liquefatta del prode Gabriel in copertina (ideata dal designer americano Les Crims con la speciale tecnica grafica Charismagraph), osare e innovare nel prossimo decennio alle porte. Emanciparsi per cavalcare una creatura affamata di new wave e punture di elettronica, della musica minimale di Steve Reich e rapidi scorci di quella che sarà la world music a venire (che la Real World dell'Arcangelo Peter contribuirà a diffondere generosamente sul finire degli Ottanta).
"..A foreign body, and a foreign mind. Never welcome, in the land of the blind. You may look like we do. Talk like we do. But you know how it is..You're not one of us.."
Gabriel fu il primo ad intuire meglio di tanti altri colleghi l'enorme potenziale della tecnologia applicata al rock, affrontando soluzioni compositive originali e uniche attraverso un'ottica capovolta. Il ritmo pompa sangue e materia grigia, è il cuore pulsante che agisce sulla struttura dei nuovi brani aiutato da una piccola drum-machine, un harmonizer o filtri vocali. L'artista inglese vuole esaltare la componente primitiva e ancestrale della musica, evidente nell'interesse per le sonorità africane e orientali, senza trascurare il prezioso patrimonio genetico blues e rock. La scarna, potente essenzialità della batteria che introduce "Intruder" (quante volte l'avrai ascoltata, Trent?) incute l'angosciante senso di precarietà e pericolo delle liriche, grazie al cantato ossessionante di Peter, alle percussioni egregiamente suonate da Phil Collins (prive dell'ausilio dei tradizionali piatti). "No Self Control" è un anthem nevrotico, affascinante nel suo ripetersi incastrato di parole, impeto e rarefazioni. Un urlo acuto preannuncia malessere e smarrimento personale nel testo di "I Don't Remember", "amnesia della vita quotidiana" liberata dal nervosismo delle chitarre elettriche e l'incedere cupo percussivo. Sinistre suggestioni letterarie che raggiungono il climax in "Family Snapshot", spettrali flashback tra l'attentato al senatore Wallace e frammenti dell'assassinio di J.F.K. secondo l'occhio criminale.
"And Through The Wire" è l'inconsapevole e progressivo distacco dalla realtà circostante, il filo sociale che può spezzarsi all'improvviso e isolarci. La celebre filastrocca marziale di "Games Without Frontiers", su innocue e scarnificate note synth-pop, nasconde una certa profondità ispirata dal popolare programma tv, incentrato sulla buffa competizione fra squadre di nazionalità europea: una metafora del nazionalismo, anch'esso infantile ma spesso tragico. Alienazione e paura del diverso dominano "Not One Of Us", una porta chiusa a chiave che può aprirsi sul suggestivo minimalismo sonoro e il testo quasi haiku della splendida "Lead A Normal Life". Vetta emotiva dell'album è indubbiamente la conclusiva "Biko", sulle drammatiche vicissitudini del leader nero sudafricano Stephen Biko, vittima del regime segregazionista di Pretoria. Un brano destinato a divenire un solenne e poetico inno antirazzista, una melodia così semplice ed elementare eppure di grandissima carica emozionale nei suoi sette minuti. Un crescendo indelebile di tensione e speranza civile.
"Peter Gabriel III" è un disco che avrà un ruolo centrale nell'evoluzione del rock anni Ottanta, prodotto e supervisionato dall'abile Steve Lillywhite, con l'intervento di collaboratori quali Tony Levin e John Giblin al basso, Jerry Marotta e il vecchio compare Collins alle bacchette, Larry Fast ai sintetizzatori e tastiere, l'onnipresente David Rhodes alle chitarre, il signor Fripp e un insolito Paul Weller alla chitarra ritmica.
"..I've been waiting for this, i have been waiting for this. All you people in TV land, i will wake up your empty shells. Peak-time viewing blown in a flash, as I burn into your memory cells.
'Cos I'm alive.."
Dovunque lui vada crea notizia. Oggi è differente. Oggi non è lo stesso. Oggi sono io il protagonista. Voglio essere qualcuno, prenderò la mira nella luce. Volevo solo un po' d'attenzione, ho sparato nella luce. Crollano palazzi, si sfaldano muri e l'intera città brucia nella pietà. Non ricordo, non ho memoria di niente, tutto è cancellato. Tranne quel sogno incerto, quando il cielo aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto.
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