Qualche sera fa, una sera di un nevosissimo febbraio, si stava discutendo, con alcuni amici, sul comune concetto di "pop", o almeno la definizione attuale (e spesso, purtroppo,  dispregiativa) della parola. Sarà il tepore della birretta in circolo, o l'atmosfera svaccata mentre di fuori la tempesta di neve infuriava (va bene, è un'immagine banale, ma assolutamente vera, vedasi i vari Tg in tripudio sull'argomento); ma, pur dalla mia "moralista" visione della musica in quanto Arte, ero arrivato quasi al punto di legittimare l'esistenza di "artisti" da MTV o da tormentone estivo. Un concetto automaticamente decaduto appena giunto a casa, rilassato per la serata tranquilla, mi metto ad ascoltare con attenzione un album di cui avevo sentito parlare con lodi: "The Silent Corner And The Empty Stage", opera di Peter Hammill (per chi non lo sapesse, leader dei Van Der Graaf Generator) del 1974.

Senza ombra di dubbio, un lavoro che mi ha fatto finalmente sentire le stesse sensazioni del mio primo ascolto di Pawn Hearts, qualche anno fa. Un LP da pianto, nel senso più felice e radioso del termine. Un collage vario ma al contempo coerente che trafigge traversalmente il meglio della musica inglese (e non solo) del periodo, mantenendo una personalità eccezionale e preziosissima. Tecnicamente, per l'artista inglese parliamo di musica non così distante dalle migliori opere del Generatore (presente in questo LP al completo): un progressive rock intimista, drammatico ma mai eccessivo, dominato dall'estro sorprendente di Hammill. Uno stregone della voce, ed anche un polistrumentista notevole, un grande scrittore di canzoni e testi. Tutto questo potenziale creativo veicolato in opere sempre interessanti, spesso capolavori ma mai meno che dignitose.

L'iniziale "Modern", con le sue dissonanze e la sua tensione mai cacofonica rappresenta egregiamente il lato modernista dell'LP, proseguendo con il contrasto della più pacata "Wilhelmina", esemplare nella sua raffinatezza. E' un avvolgente tripudio di suoni che, coerentemente al termine progressive, parte da una dimensione "terrena" della musica (rock, jazz, classica, ambient) e, raccogliendo influenze diverse (arrivando persino alla psichedelia più acida con "The Red Shift"), si eleva ad un piano tra l'onirico e lo spirituale. Paroloni ben poco prosaici, che risulterebbero fuori luogo per molti; ma non per Hammill, non per uno dei più grandi artisti della musica inglese moderna. Un preghiera laica dedicata all'Arte, nel suo primario scopo: l'esaltazione dell'interiorità e l'urgenza comunicativa che solo delle grandi personalità possono avere. Il tutto concluso con i dodici minuti di "A Louse Is Not A Home", che non sfigura accanto alla storica "A Plague Of Lighthouse Keepers" di pochi anni prima.

Ed ora, scrivendo questa recensione ed ascoltando ancora una volta quest'opera, mi pongo di nuovo la domanda: in che misura dobbiamo legittimare l'esistenza dell'ennesima pop star effimera che intossica quotidianamente tv e radio; come possiamo relegare a rango di musica per appassionati questo "The Silent Corner And The Empty Stage", mentre la macchina del mercato discografico ricicla, compone mosaici di plastica e te li spaccia per nuove frontiere del suono. Mentre album come questi rimangono intoccabili, come avvolti da un'aura di cristallo, senza tempo, squisitamente ancorati alla propria epoca ma, ancora nel 2012, di un'attualità impressionante.

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