Dopo i vari capitoli a metà tra rock, sinth-pop e wave (senz'altro più immediati), i Piano Magic questa volta ci sorprendono davvero. Come? Bhè, grazie al nuovo "Ovations"; album basato comunque sul loro genere madre, ma con influenze ancor maggiormente dark, le quali innalzano decadenti e tenebrose sonorità. Si, tali caratteristiche sono già  presenti nelle passate produzioni, ma solo ora emergono in superficie. Il merito, diciamolo, non è solo del nostro caro Glen Johnson, bensì anche di due vecchi componenti dei tanto dark-gotici Dead Can Dance: Brendan Perry e Peter Ulrich.

Un album, infatti, che ricorda molto quelle vecchie avventure eighteis stile Cure, Joy Division ed appunto Dead Can Dance. Immaginate quindi lande desolate dove tutto risulta cupo, ma con saltuari schizzi di luce e risvegli.

Segni di questa oscurità si hanno nelle prime due tracce, grazie anche al cupo lirismo di Brendan Perry. L'iniziale "The Nightmare Goes On" si presenta subito con ritmi e melodie cadenziate, tribali e vagamente orientali; ed ancor di più lo fa  il ritualismo di "March Of The Atheists". Spiazzante il terzo brano "On Edge", drum machine  tiratissima, suoni a destra e a manca e spasmodici riff, il tutto a creare un mix elettronico e post-industrial. Con "A Fond Farewall" il livello contemplativo aumenta, creando momenti decisamente mistici. Ma è a partire da "The Blue Hour" che l'album spicca il  volo: spontanee presenze pop, super melodiche ed affascinanti, col solito sinth in primo piano. Lo stesso fanno "Recovery Position" e "The Faint Horizon", brani che rendono effettivo il rimando a Morrisey. Davvero emozionante la ballata "You Never Loved This City" (anche qui perfetta l'interpretazione di Perry). L'album arriva al termine con la sperimentale "Exit", binomio di voce maschile e femminile accompagnato da un monotono velo elettronico-ambient.

Con "Ovations" ci rendiamo conto come i Piano Magic non stanchino nemmeno dopo dieci album, anzi, io direi che il fascino è al massimo.

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