Con la seconda parte della sua "trilogia della vita", Pasolini traspone i suoi celeberrimi guizzi di grottesco, satira e scabrosità sessual-erotica nel panorama medievale inglese tracciato dall'opera omonima di Geoffrey Chaucer.

Sebbene l'estrema complessità della versione letteraria dei Racconti di Canterbury non venga rispettata - complice anche una non indifferente riduzione della sceneggiatura originale - la narrazione proposta da Pasolini rispecchia perfettamente la tragicomica realtà della società tardomedievale, realtà che viene addirittura esacerbata nei particolari succinti più reconditi e enigmatici. All'interno di un contesto in cui la solennissima sacralità intoccabile e non sconfessabile della religione cattolica veniva facilmente elusa da una serie di allegorie al limite della più becera carnalità umana difficili da contenere dentro le mura di paglia delle arretrate contee londinesi, le velleità del regista divengono chiare sin dall'inizio del film: la rosa delle novelle chauceriane rigorosamente scelte non è altro che il pretesto squisitamente pasoliniano per mescolare argutamente sacro e profano (più profano che sacro in realtà, ndr.), goliardia e severità clericale, spiritualità mascherata e voracità manifesta.

Ed ecco dunque che il Medioevo di Pasolini si trasforma in un magnifico teatro di nudismo, inganni, trabocchetti, astuzie e ingenuità, un mondo in cui non vi erano significativi deterrenti all'espressione sessuale (nemmeno quella omosessuale, sebbene minacciata da rogo), espressione che non si limitava al blando amplesso, ma che sconfinava apertamente nel voyeurismo più efferato o in un proto naturalismo quasi da Paradiso Terrestre, da laghetto delle Ninfee. Uno scenario che perdipiù evita lo sciorinio di sentimenti puri e amore trionfante, platonicamente rarefatto: matrimoni altisonanti che fungono da contratti facilmente rescindibili dalla parte dominante vedono la bizzarra intelligenza della coniuge, splendidamente abile e intelligente a turlupinare il marito-re-sovrano-signorotto nel momento in cui quest'ultimo nota visivamente gli intrallazzi con il baldo giovinetto di turno, pettegole donnette che divorziano ancor prima di conoscere la vedovanza e si intrattegono con aitanti studenti universitari dai membri non avvizziti come i (non) defunti mariti, menage-a-trois venutisi a creare per mezzo di esilaranti scenette simil Laurel&Hardy...e così via.

Ulteriore step di Pasolini verso l'esasperazione artistica dell'umano appetito carnale e dei suoi effetti più disparati sui proprio dirimpettai (esasperazione che sulminerà con l'agghiacciante Salò), I Racconti di Canterbury iniziano quietamente, non solo con l'introduzione dei viandanti per Canterbury tesi a scacciare la noia del viaggio attraverso la famosa sequela di novelle, ma anche con l'incipit del primo racconto di Ser Gennaio e della fedifraga sposa Maggio: un probabile signore/ sovrano di una non meglio specificata città, appunto Ser Gennaio, decide di prendere moglie, specificando l'obbligatoria giovinezza della stessa e bandendo una sorta di competizione fra ragazze. E' solo con la scelta di Maggio, dotata di un fondoschiena migliore delle concorrenti, che Pasolini dà avvio all'effluvio umoristico-erotico della sua opera, un vortice di prese in giro dal perenne sfondo rosso pepato. A tal riguardo il passaggio da una narrazione all'altra si trasforma in una semplice introduzione di Chaucer/Pasolini il quale, quasi svogliatamente (in un caso deve addirittura essere svegliato da un suo collaboratore), redige su carta i titoli delle singole novelle, a mo' di atavica scheda d'apertura dei lungometraggi.

Molto curiosi sono altresì i dialoghi: nel (riuscito) tentativo di mettere alla berlina la fabbrica dei finti bigottismi delle alte caste e del volgo, Pasolini mette in bocca ai narranti dialoghi dalla forte componente aulico-solenne, gli stessi che volontariamente li scandiscono senza espressione e convinzione, quasi a palesare l'inutilità dell'altisonanza verbale e dello scintillio poetico-regale in ambienti del tutto opposti alla presunta raffinatezza di questa oralità. Da un lato vi è dunque la pseudo-raffinatezza dell'espressione dialogica intenzionalmente anacronistica e sconveniente, dall'altro l'autentica sporcizia delle "faccende domestiche" che peraltro non rimangono segregate all'interno delle singola mura private. Vi si para innanzi un'orgia di amanti affamati e libidinosi di tutte le età (giovani, ragazzetti di primo pelo, ma anche vedove, zitellacce, rozzi regnanti), un attivissimo panorama sessuale che quasi nessuno cerca di soffocare: la ribalta delle corti, delle piazze e dei mercati diviene anzi il pretesto per esprimere la meglio carnalità, rinnegando clamorosamente la verginea esasperazione religiosa degli infiniti tabù. Il letto, poi, qualunque esso sia, viene conquistato attraverso una mirabolante serie di trucchetti: proprio qui l'ingenuità bambinesca del credente bigotto subisce le sevizie più aberranti del lupo semi agnostico, facile manipolatore delle labili coscienze e conoscenze altrui. Il santuario di Canterbury, meta dei pellegrini-narratori diviene allora un Eden irraggiungibile, una meta che persino i viandanti disdegnano nel loro intimo più inconscio.

Sono scontati i paragoni che andrebbero eseguiti fra i Racconti di Canterbury e la realtà attuale: ciò che va sottolineato è il fiero tentativo di Pasolini nel dimostrare la congenita tendenza dell'Uomo a esprimere con tutti i suoi mezzi la carnalità e la materialità della sua essenza, a prescindere da eventuali obbligazioni superiori-trascendentali-spirituali. Una realtà che purtroppo continua ad essere confusa, manipolata e manomessa proprio da coloro che trasformano la carnalità e la materialità in imprese, lobbies e centri commerciali.

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