...tradizione, sperimentazione, classe... ma sopratutto tradizione, infatti la melodia classica napoletana aleggia su tutti i brani di questo splendido album, ancor più che nel passato, certo il tutto magistralmente filtrato dall’abilità di Pino Daniele di restare sui binari della modernità e di non nascondere mai la sua passione per il blues e il jazz.

E’ ancora un Pino Daniele che graffia, con una voce particolarmente “cattiva” e testi mai “banali”, un album pervaso da una vena di “nostalgia e tristezza” ma anche di ironia...

Circondato da musicisti eccezionali, cosa alla quale ci aveva già abituati, Pino Daniele compone ed esegue, una serie di brani nei quali si legge chiaramente l’impotenza del proprio popolo a tirarsi fuori dalla “palude della storia” nella quale si trova, impotenza dovuta anche a limiti oggettivi propri della gente napoletana. Ne descrive però anche l’enorme generosità... Grandissimi musicisti chiamati a collaborare con “Pinuccio” (mi scuserete se lo chiamo così) dal già sperimentato Agostino Marangolo, impegnato in tutti i brani esclusi “Lasse che vene” e “Lazzari felici” a Rino Zurzolo, entrambi superstiti di quella che fu nei primissimi anni 80, la band tutta italiana di Pino Daniele, e addirittura con il “fu” ingresso in squadra di Tullio De Piscopo, la band fu tutta partenopea. Ancora, l’inarrivabile Mel Collins ai fiati, Nanà Vasconcelos alle percussioni e Alphonso Johnson al basso, diciamolo pure, una formazione stellare.

Non amo descrivere i brani nel dettaglio, e infatti non lo farò, almeno non per tutti... si comincia con “Kepp On Movin'” che potremmo definire la “Yes I Know my way” di questo disco, brano “funky – dance” piuttosto orecchiabile... si prosegue con “Disperazione” facilmente identificabile come un “classico blues” alla Pino Daniele, poi, la tradizione classica napoletana la fa da padrona nel brano “Lassa che vene”, ma le vere perle del disco sono in ordine “Lazzari felicistruggente e poetica, “Stella neraintima e triste, e infine “Oi Nèsarcastica e diretta... come sempre la chitarra domina la scena con melodia, tecnica e sapienza.

C’è anche un drammatico scivolone con la insignificante quanto banale “Santa Teresa”, banalità alla quale purtroppo di lì a qualche anno il nostro ci abituerà ! I toni sono più “sommessi”, forse più “poetici”, mancano gli eccessi del passato e anche taluni colpi di genio, motivo per il quale a quest’album assegno 4, tuttavia, la “poetica musicale” che pervade il disco ha una “aurea magica” intrisa di “nostalgia sognante” e vi si legge anche qualche passo verso un certo tipo di “World Music” facilitato dalla influenza degli artisti stranieri, vedi il brano “Acchiappa Acchiappa”.

Il più triste e nostalgico tra gli album di Pino Daniele, forse per questo da me tanto amato...

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