Playstation Rock

(Oscar Wilde alla consolle)

Musica per ragazzini. Ennesima rock-band non esattamente talentuosa, abbastanza inutile, non brillante per qualità innovative, non lascerà un segno nella Historia de la Musica Rock. Aggiungiamo che è pluri-derivativa (The Cure, REM, Smiths) quindi scarsamente originale. Punto. E a capo.

Lo stesso si diceva negli anni ottanta dei Duran Duran, poi rivalutati come un gruppo "tutt'altro che popolare", si scoprì il livello dell'artwork, si scoprì la qualità delle linee di basso di John Tylor, oggi copertine come quelle di "I Don't Want Your Love" o "Big Thing" sono considerate di interesse storico-artistico (quasi "mondrianiane"). Lo stesso si diceva dei Depeche Mode (quante disquisizioni sulla musica "non suonata", "senz'anima" e via zigzagazzionalillerellazionalizzando sull'elettronica?)

Flashback. La label "indie" Hut, ha scovato e portato all'attenzione del mondo tre bands principali: prima i Verve (alti e bassi nei loro albums, il migliore è forse "Storm In Heaven" ma con quella stra-famosa canzone dagli "Inni Urbani" riuscirono a piazzare il singolo più venduto dell'era brit-rock, battendo Blur e Oasis), poi gli Smashing Pumpkins (talento e genio creativo imparagonabili, da "Gish", gioiellino di rock post Bauhaus-Jane's Addiction, a "Siamese Dream", capolavoro parallelo al grunge, "Mellon Collie and The Infinite Sadness" pietra miliare del rock anni novanta, un'opera rock a 360° su scala tridimensionale), e Placebo. Il denominatore comune di queste tre bands è il successo raggiunto molto, troppo velocemente, unito ad una non esattamente brillante dimestichezza con i palchi (piuttosto scadenti come live-performers), segno indiretto di musicisti troppo precocemente proiettati dal "garage" (nel senso del vano sotto casa) alle arene mondiali. O forse di una pianificazione a livello di marketing troppo pesante che ha inficiato le qualità migliori di artisti magari con talento.

Ciò detto, va fatta una considerazione centrale (per la quale ringrazio il Redattore della scheda di OndaRock). I Placebo, e il loro frontliner Brian Molko non fanno "esattamente" rock-music. Nel senso che, per un bizzarro punto di contatto con la canzone d'autore e la sua plus-valenza letteraria, l'aspetto lirico e poetico è divenuto nettamente predominante, e tale da far passare in secondo piano la costruzione del sound. Che globalmente non sarà, quindi, molto originale. O comunque non sarà il motivo principale di attrazione per cui ascoltare un disco dei Placebo. In altri termini, Brian Molko non canta (come di consueto) tradizionalmente rock songs, con la consueta coloritura e declinazione pop, ma declama (o almeno ci prova) versi in musica. Che poi tale suono coincida con lo stesso impianto post-brit rock, potente e ben costruito, con venature dark-wave, con accenti heavy, etc etc. la sostanza non cambia: per capacitarsene basta leggere alcuni titoli anche di quest'ultimo "Meds". Che fa seguito all'omonimo esordio (unico brano azzeccato "20 years"), al successivo e più interessante "Without You I'm Nothing", con momenti davvero intensi ed emozionanti ("Burger Queen" e "The Crawl"), il successivo "Black Market Music" meno interessante musicalmente, anche perché liricamente rappresentò la massima espressione della poetica di Brian e Co., maggiore omogeneità e potenza, ma troppo pesante per suscitare grandi entusiasmi. Poco immediato, forse perché poco ispirato, o forse troppo mediato. Con "Meds" si raggiunge il punto di equilibrio tra l'intuizione pop-melodica di "Without You" e la propensione poetica e narrativa di Brian Molko. Poesia? Letteratura? Chi, i Placebo?? Traspare da titoli come "Nella luce fredda del mattino", "Dopo la tristezza", "Ritorno a casa accompagnato dalla polizia". Brian Molko ha una voce bella e particolarissima, simile a Michael Stipe, ma più densa, acuta, salmodiante, declamatoria, appunto. Verrebbe da dire, una voce impressionistica, che per lo stile di canto fa quasi perdere di vista la musica perchè come nei dipinti di Signac, o di Seurac non ha bisogno di "contorni" e demarcazioni.

Quest'album peraltro annovera alcuni momenti musicalmente davvero riusciti come "Infra-Red" (contraltare di "Ultraviolet" degli U2?), e la citata "Return Back Home With The Cops", notturna e pervasa da un sentimento di profonda malinconia, il duetto con Michael Stipe di "Broken Promise", prima lenta e pianistica poi esplosiva e potente, analogamente alla title track posta in apertura, pregevole comparsa di VV dei Kills, stacco acustic-metal, voce femminile e melodia pop che più perfetta non si può; ci sono poi un paio di episodi davvero suggestivi, che si staccano dal resto dell'album: "Post Blue", il confine della malinconia, e il risveglio di "In The Cold Light of The Morning" (un contrappunto al risveglio nella luce di "Pure Morning") e in chiusura, la perfetta chiusura, "The Song To Say Goodbye", nulla da dire, soltanto bellissima.

Non c'è molto altro da aggiungere, se non che si tratta di un lavoro interpretabile come un concept-album sul tema della malattia e della morte, quindi implicitamente una riflessione sulla vita, argomenti abbastanza interessanti, come interessante è notare come dopo "The Cure" ci sono stati i "Therapy?" e l'inconsapevole aiuto alla precedente dell'effetto "Placebo". Forse non convicono, sicuramente non sono paragonabili ai citati maestri della new-wave, forse a molti (troppi?) non piacciono. A molti ma non a tutti. A me piacciono. E a volte l'emozione spazza via geometriche riflessioni in cui si cerca inutilmente di riempire di sabbia una bottiglia di plastica vuota, discussioni acriticamente critiche, perchè in fin dei conti c'è bellezza anche in una bottiglia lasciata vuota sulla spiaggia.

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