Con il loro punk-metal quadratissimo, i Plakkaggio sono senza ombra di dubbio una delle realtà più significative del rock italiano, come un ponte tra gli Exploited e gli Helloween.

In effetti la loro capacità di stare a metà tra punk e metal, fieri e senza rinnegare nulla, ovvero il loro modi di approcciarsi contemporaneamente a due generi spesso in conflitto, dà risultati entusiasmanti.

Se i primi dischi risultavano a tratti acerbi, la band ha trovato ormai il suo sound da “serissimi cazzoni” che si cristallizza perfetto in “Verso la vetta", targato 2022. La copertina, ahimè, fa cagare, detto schiettamente, ma il disco è un concentrato di rock 100% Plakkaggio.

La title-track è una mazzata power metal violenta come un martello di ghisa dato sui denti, con una carica pazzesca e una metafora di fondo da pugni al cielo, ovvero la montagna come costante sfida, la resistenza alla vita e infine il riscatto; metafora non nuova in effetti: con altri metodi, già ne parlarono i Manowar di “Mountains” o i Bathory di “To Enter Your Mountain”, per fare un paio di esempi. Segue la gradevolissima “Giorni Lontani”, che abbassa un po’ il tiro ma fila bene, e poi l’azzeccata “Palaeoloxodon Antiquus”, dedicata a un mastodontico elefante che illo tempore abitò quel di Colleferro, patria dei Nostri.

Arriva quindi il tris d’assi che sostiene il corpo centrale del disco: “Lutto”, con inaspettati cambiamenti improvvisi che danno dinamismo all’ascolto, “Rivolta”, dai toni più leggeri e spensierati, fino al punk ‘n’ roll di “Birra in lattina”, da cantare a squarciagola. “Valhalla” è una sorta di omaggio a Immortal, Satyricon & co, ma non si rivela tra i brani più riusciti.

Ottime “Declino” e “Oi! Siamo ancora qui” fino a chiudere con la buona, ma ormai prevedibile, “Oltre la vetta”. I testi sono ben scritti, un inno violento contro il capitalismo, contro l’istinto di arrendersi, contro i perbenismi. Un inno alla rivolta, alla fatica che darà risultati, al sudore e alla birra in lattina da veri metallari.

Il disco dunque fila che è un piacere, e certi brani potete star certi che vi ritroverete a risentirli. Il sound è estremamente pastoso e corposo, massiccio nel suo incedere pesante, e pur nella sua schiettezza sembra raccogliere infinite influenze: dagli Iron Maiden ai Nabat, dagli 883 (qualcuno ha parlato dei 666?) agli Immortal. La voce è sporca e convincente, le chitarre violentissime ma versatili e la sezione ritmica picchia quanto basta.

Perché in fondo non sono i nuovi Black Sabbath, ma quello che fanno lo fanno bene: sono tecnicamente preparati, e si sente che non fanno solo tre accordi a casaccio come invece dovrebbe funzionare secondo certe frange di sedicenti punk. Il sound è abbastanza omogeneo ma non stanca in linea di massima, e anche se non sempre la band tira fuori soluzioni melodiche impeccabili, ci sono diversi riff e ritornelli che restano in testa. Un ottimo inizio per scoprire questa band, consigliato a tutti i punk, metallari e rockers. Vot

o: 85/100.

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