I

"Una musica che viene dritta dal cuore sa parlare all'ascoltatore e sa colmare le intangibili distanze che corrono tra spiriti e mondi tuttavia affini".

Ci sono volte in cui arrivo a credere, a convincermi del tutto che per carpire e saper trasmettere qualcosa di coinvolgente, un'emozione, una sensazione importante, sia necessario ridurre le distanze, riuscire ad avvicinare in qualche modo due mondi che possono essere molto lontani tra loro. Voglio dire, entrare nel cuore di chi hai di fronte toccandolo nell'intimo, nel suo sacro, in quel tenero gazebo che conserva gelosamente ornato e sigillato da strani sogni e colori; quel sacro che, si sa, a volte può anche significare tradizione, può essere perpetuazione di una somma intesa. Una frase disinteressata buttata lì, sporadici accenni a strane (ri)mescolanze, combinazioni, del destino.

Ecco, qui scocca un piacere sottile che ti pervade l'anima. L'anima ha bramosia d'intesa.

Questa è una musica che viene dritta dal cuore....

Questa è l'ultima "fiaba" che ci vogliono raccontare i Radiodervish.

II - L'immagine di te (2007)

I nuovi Radiodervish si presentano in una veste più pregevolmente pop, rispetto alla 'full immersion' nell'inusitato mondo delle cantilenanti atmosfere balcaniche, ricche di quel fascino ammaliante, cristallino, che avevano solcato alcuni dei loro primi album (basti pensare soprattutto ai primi Al Darawish ed al capolavoro "Centro Del Mundo", pregno di colori, suggestioni, così personale e ricercato). Evidentemente il fatto che la produzione sia affidata ad un grande come Franco Battiato (assistito dal suo compagno di avventure, e fedele collaboratore, Pino 'Pinaxa' Pischetola) ha influito e non poco, soprattutto nella scelta degli arrangiamenti. Sospesi, solari, evocativi, accostabili per asciuttezza e sapiente fusione dei tappeti orchestrali con parti più elettroniche, proprio all'ultimo lavoro ("Il Vuoto") dell'autore siciliano.

"L'immagine di te" è un caldo, dolce, spensierato, struggente ricettacolo di emozioni, semplici e pure come i nove gioielli nove che lo compongono. Tutti i brani sono firmati da Nabil Salameh (voce), Michele Lobaccaro (chitarre) ed Alessandro Pipino (tastiere), con un contributo nella stesura di testo e musica di "Babel" da parte di Michele Salvemini (in arte Caparezza). A dominare la scena, trame delicate di chitarre, e pianoforte che si incrociano con archi spesso sussurrati - "L'immagine di te", "Tutto quello che ho", "Milioni di promesse", "Stella briciola di campo" - talvolta intarsiate di arrangiamenti elettronici minimalisti -"Avatar"- o ammantate da un alone quasi sacro ("Se vinci tu").

Il sound, (da sempre privo di qualsivoglia artifizio), si è fatto progressivamente più etereo. Anche i testi, collage di immagini e pensieri, sono creature spoglie, ma così vivide... Vivide come il ricordo di "Yara", e del suo conturbante fascino medio-orientale. Vivide come la speranza di una possibile pace tra Palestina ed Israele o come il dramma della clandestinità (i singulti melodici di Nabil vi fanno spesso riferimento). Vivide come la rabbia, verso l'ipocrisia della gente, sprigionata da Caparezza, che irrompe a sorpresa nel bel mezzo di un brano delicato come "Babel"; contagiose come il potere tarantolato che alberga nella divertente e cinica "Sama Beirut". Vivido è il sentore di un innamoramento che il raggiante Nabil nutre ed accudisce, come una stella pescata dalla placida notte. Della tracklist "Yara" è forse il brano più bello, corollario all'ennesimo viaggio dal sapore multietnico, con uno stupendo cantato in Griko (dialetto greco - salentino) di Alessia Tondo, perfettamente coadiuvata da una struttura musicale impalpabile, viaggiante.

Bella realtà questi Radiodervish.

La creatura è viva, viva come non mai. È lì distesa sotto i raggi sole. Si nutre della loro energia, e matura con la sua classica, impareggiabile qualità nel raccontarsi e nel raccontare.

III

È "l'immagine di un tramonto". Della furente lotta che imperversa tra il rosso sangue (tanto della passione quanto dell'intolleranza) e le velleità di un cielo, seppur terso, languido e ritratto in sé.

Questa è la contemplazione del nostro destino.

"Scusa amore. Questa notte è mia."

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