Permettetemi di dirlo: non è mai facile parlare dei Radiohead, soprattutto quando si tratta di recensire un loro prodotto, che sia un inedito o un live o, in questo caso, un best of. Ma è impossibile restare indifferenti a questo complesso; i Radiohead sono portatori di qualunque tipo di emozione possibile: malinconia, gioia, tristezza, rabbia, depressione, e non c'è una loro canzone inutile o che definiresti "orrenda". E in questo doppio album troviamo i loro più grandi successi commerciali, da inizio carriera col timido "Pablo Honey" fino al poco capito "Amnesiac" (notare l'incredibile differenza fra entrambi i periodi).

Del primo troviamo la meravigliosa "Creep", un pezzo semplice ma intenso, con un ritornello che esplode in un cantato feroce e mezzo sussurrato, dannatamente efficace. Brividi puri all'urlo disperato di Yorke. Del successivo "The Bends", a mio parere uno dei loro album migliori (che però dovrà fare i conti con i successivi), abbiamo ben 7 singoli, tra cui la stupenda "Fake Plastic Trees" con un testo particolare e un intermezzo da pelle d'oca, la "muse-iana" (perdonatemi il termine) "My Iron Lung" e la rilassante e introspettiva "Street Spirit". Ma è solo dopo The Bends che il gruppo sforna tre album fenomenali, ricchi di sperimenti rock, musica elettrica e classica, oltre che rimandi al jazz, al punk e qualche volta anche al progressivo. Inutile dire che "Paranoid Android" non abbia lasciato un segno nella storia del rock degli anni '90: una mezza suite "lunatica", a tratti lenta e tranquilla fino al boom finale in cui entra la psichedelia più cupa e frastornante, il perfetto singolo che avrebbe anticipato il ventunesimo secolo. E che dire della splendida "Karma Police" (con finale da orgasmo) e la dolcissima "No Surprises" (con un video geniale) o "Exit Music", con un Yorke mai così intenso.

Ed ecco....siamo arrivati al 2000, ma i Radiohead non sembrano spaventati di questo anzi, procedono per la loro strada senza peli sulla lingua. E se non vi è piaciuto "Kid A" (per qualsiasi ragione) non si può dimenticare di pezzi come "Ideoteque", inquietante discesa nei meandri della mente umana, martellante e frenetica, con un cantato glaciale, o di "Everything In Its Right Place": niente batteria, niente chitarre, niente basso, solo un delicato e ossessionante tappeto sonoro ricco di echi e suoni spaziali, che creano dei veri e propri "viaggi mentali". E per chi sottovaluta "Amnesiac" gli basterà ascoltare la stranissima "Pyramid Song" per pensarci su due volte (che è già troppo).

Insomma i Radiohead sono un gruppo che, lo vogliate o no, sono stati importanti nel loro tempo: hanno "distrutto il rock per poi ricostruirlo" come già è stato detto, e se oggi ci sono band come Muse, Keane, Coldplay o The Killers, un merito andrà sicuramente a loro.

Carico i commenti... con calma