Nomen omen. Cercherò di non essere eccessivamente prevenuto, ma mi è davvero difficile giustificare uno scempio del genere. Pletorico e superfluo, questo "Endgame" è l'ultima firma di una band sopravvalutatissima, entrata nel gotha dell'hardcore melodico fuori tempo massimo (il primo "The Unraveling", infatti, è del 2001) e che si è da sempre distinta per un più o meno malcelato riciclaggio di Good Riddance e No Use For A Name. Con qualche urlone in aggiunta, perché, insomma, bisogna essere true.

Ora, non che tutto ciò sia necessariamente un male: i nostri, pur nella routine della loro proposta, hanno fatto qualcosa di buono ("The Sufferer and the Witness" è un bell'album) e, fra alti ("Revolutions per Minute") e bassi ("Siren Song of the Counter Culture"), più o meno se la sono cavata. Il problema è l'atteggiamento di fondo, l'autoreferenzialità con cui incensano (loro ed i fan) ogni loro uscita, salutata (da loro e dai fan) come un imprescindibile capitolo dell'epopea dei figli dei Black Flag. E ditemi se non è vero. Fossero accompagnati da più umiltà ed onestà, sarebbero anche dei lavoretti graziosi.

Invece sono infarciti di bolsa retorica: i booklet sono disseminati di citazioni orwelliane, estratti di Howard Zinn e Noam Chomsky, fondamentalismi assortiti della PETA (bella roba!). Insomma, arroganti bignamini da radical chic d'assalto.

Nella migliore delle ipotesi, strappano un sorriso di compassione.

"Endgame" non è nemmeno un lavoretto grazioso. E' un inutile appendice di Appeal To Reason, ulteriormente edulcorata (un passaggio obbligato per poi proclamare in pompa magna lo scontatissimo "ritorno alle radici"? Le scommesse sono aperte), che strizza l'occhio al più becero rock da stadio.

Le ragioni del cambio di rotta sono le solite pantomime: volontà di sganciarsi dalle velleità puberali del pancroc per approdare a soluzioni stilistiche più ardite e personali. Ahahahahah, certo. Mi piacerebbe chiedere ai Rise Against quanti "Endgame" abbiamo sentito nell'ultimo mese, licenziati dalle comparse più tarre (Ol Taim Lou, Escheipdefeit, Rufio, Tuamadrevacca...) della "scena".

Basterebbe questo a ridurli spalle al muro, a farli gridare al complotto ordito da ipotetiche toghe rosse. Nihil novi sub sole. Il solito pop/rock da scalata, martellante non dico dove nel ricordarci che la Nestlè è cattiva, in perfetto stile Bono. E, allora, diamo a Cesare quel che è di Cesare: questa mia non ha altra utilità che contrapporsi alle altre recensioni che (legittimamente!) affermeranno le solite cose, che è comunque un disco che si lascia ascoltare, ben suonato e ben prodotto. Che la "quattro", nonostante tutto, pesta un po' di più. Che la "sei", più o meno, ha un bel riffone hard rock. Ecco, aggiungerei: ci mancherebbe altro. L'uno rimane. E' il minimo sindacale per un prodotto targato Interscope. Fossero almeno incliti architetti (unico rimedio in angolo per gli Strung Out quando ci propinano le loro pacchianate) ferrati in tecnicismi, i Rise Against. No, sono solo anonimi geometri molto furbi. Che tirano a campare, navigando a vista. Che riciclano a tempo perso una storia che non hanno mai vissuto. Annacquandola, ovvio.

Carico i commenti... con calma