Praticamente nessuno, vedendo un po' in giro, parla di quello che per me è (perdonerete l'eresia) il secondo miglior album di Robert Wyatt: The Animals Film del 1982. Colonna sonora dell'omonimo film, questo breve affresco di sofferenza (28 minuti) è uno dei dischi più unici, sinceri e struggenti degli '80. Saggio industriale sull'agonia. Critica sociale contro esperimenti e sevizie da macello su animali. La musica che ne scaturisce è originalissima e riesce a toccare le corde emotive in un modo che non ho mai sperimentato prima, le emozioni affioranti non sono le solite 4 standard ma sono molto più profonde e complesse: le melodie (ove presenti) in stile malinconico-ossessive (quando pianino, quando synth soffici e quando Wyatt che canticchia nenie) affiancate a rumori industriali freddi e spietati creano un contrasto emotivo da cui fuoriesce tristezza pura mescolata a inquietudine (se non orrore) insieme a una miriade di altre sfumature... ricostruzione perfetta del supplizio fisico e mentale, roba che porta alle lacrime. Il disco è tanto umile quanto eclettico.

Le tracce non hanno titolo, o meglio, il titolo è il numero del lato seguito dal numero della traccia. Quella di apertura è l'unica che ha una "forma canzone" e un tema orecchiabile (i cari vecchi "ua ua" di Robert con la sua vocina), di gran classe. Da questa si riconosce già la pasta personalissima di cui sarà fatto l'album, ma è dalla seconda che si entra davvero in un nuovo mondo, un mondo di orrori, di desolazione e, in fondo, di rassegnazione: la prima parte di questa è una semplice melodia "statica" e depressa di pianoforte su un lento andamento marziale sorretto solo da batteria (sorprendente come questi due strumenti da soli, senza arrangiamento né accompagnamento particolare, creino un'atmosfera tanto intensa); la seconda parte è basata su un sintetizzatore ruvido, questa volta anche con accompagnamento melodico sincopato; la terza è un flauto stonato con batteria ultrariverberata che ricrea rumori industriali.

"1 - 3" comincia con un sintetizzatore intento ad organizzare una "melodia" salvo poi andare in malora spargendo sequenze improbabili di note affiancate da una batteria disordinata ed effetti in reverse che compaiono e svaniscono come buchi neri quantistici, il tutto immerso in un accompagnamento elettrogeno; verso metà brano entra possente in questo caos la linea di basso, che mette ordine: così il drumming da disordinato si stabilizza (compare il tempo - 2/4) e prende vita una terribile e minacciosa marcia lenta e cadenzata, completata da un sequencer elettronico; verso i 3/4 del brano ecco il pianoforte che rintocca schematicamente il ritmo con note ripetitive senz'anima, e... dissolvenza in uscita.

"1 - 4" è musica concreta per sintetizzatori con linee "melodiche" (si fa per dire) che di tanto in tanto emergono dal sofferente fluido elettronico.

A iniziare il secondo lato c'è "2 - 1", la piece più bella a mio avviso, capo: compare un synth in leggero stile "ua-ua" a vagare in pena nel vacuum spazio temporale rappresentato dagli accordi senza tempo del mellotron; stacco sulla seconda parte che delinea un supplizio: un ritmo lentissimo da "via crucis" sorregge una fragile e struggente melodia; nuovo stacco sulla bellissima (e fugace) "terza parte", che ripete il tema della "1 - 1" utilizzando un vento radioattivo come unico strumento: tutto si ferma, la depressione universale dilaga, non rimane che rassegnazione e senso di colpa... è commovente; stacco (ultimo) sulla quarta parte (cassa, linea basilare e reiterativa di piano, tappeto di tastiere), misteriosa e inquietante.

Nella piece dadaista "2 - 2" ritroviamo la vocina del nostro, ma questa volta non è intenta a intonare una melodia, bensì a "gracchiare" fastidiosamente urletti ossessivi di innocenti anime perseguitatrici.

La "2 -3" è un fastidioso sibilo su un magma ribollente di elettronica.

L'ultima traccia inizia con un sintetizzatore soffice che dà sensazione di attesa per poi passare nella zona più pacifica e meno tormentata dell'album, quasi volesse descrivere la lietezza per la fine delle sofferenze, ma con una latente amarezza per la morte.

Un album questo che non brilla certo di tecnica, con piglio amatoriale, che dice però quello che vuole dire, come lo vuole dire, con un sound ricercato e azzeccatissimo. Tanto basta per incensarlo.

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