"Non sei fregato veramente fino a quando hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla" (Danny Boodman T.D. Lemon "Novecento")

Per fortuna  Rod Stewart ha una buona storia da raccontare, e anche io.

Alla Feltrinelli rovisto nel cestone dei compact disc a prezzo stracciato e il cuore si ferma alla vista di una copertina nota. Quella del mio vinile è ormai consunta, si apre a doppia facciata e all'interno c'è tutta la band di Roddie schierata dentro una porta di calcio: Ron Wood, Dick (Tricky Dicky) Powell, Quittenton, Ronnie Lane, Micky Waller...tredici elementi proprio come una squadra con le due riserve. Ridotta alle dimensioni compact di 12 per 12 centimetri mi sembra un giocattolino e resto a rimirarla come un pirla mentre due ragazzi, nell' ascoltare in cuffia l'ultimo dei Coldplay, guardano con commiserazione questo poveraccio che maneggia  dischi da due soldi destinati al macero della memoria delle nuove generazioni. E per di più il disco di uno che fece cagare quando attraversò l'Atlantico con il poppettino commerciale di "Sailing" e "Tonight's the night"... vuoi mettere i Coldplay prodotti dal genio incommensurabile di Eno!

Spero che qualcuno ricordi l'ambizione smisurata di questo guaglione anglo/scozzese dalla voce di ruggine che straccia la carta di cui erano fatti i tweeter di una volta. Buona mezzala nella squadra del Brentford e cantante in una dozzina di gruppi fino al salto di qualità quando Jeff Beck lo reclutò nel ‘68/'69 per "Truth" e "Beck-Ola" e poi con i Faces assieme a  Ron Wood e Ronnie Lane.

Ma Roddy rimane nel mio cuore per i tre grandi dischi solisti del 1970 (Gasoline Alley), del 1971 (Every Picture Tells a Story) e del 1972 (Never a Dull Moment). Tutti da cinque stelle e, citando un altro debaseriano (imasoulman), "da avere senza se e senza ma".

Forse (ma forse) il mio preferito è l'ultimo dei tre, un misto di covers e brani originali dove quest'uomo si fa beffe di noi. Intitola il disco mai un momento di noia  e poi la copertina lo vede stravaccato in poltrona a guardare il nulla. Inizia il rock arrembante stile Faces di "True Blue" con i versi "... never been a millionaire/ and I tell you mama I don't care" ... ed infatti  qualche anno dopo sarà stramiliardario con villa, piscina e bionde mozzafiato. Che figlio di puttana Rod! Mi costringi perfino (per la prima volta nella mia loffia carriera di recensore) all'odioso track by track. Già, perché questi otto pezzi (escludendo il breve intermezzo della chitarra acustica di Ron Wood) li ho mandati giù a memoria e nessuno di essi merita una semplice sveltina.

Pescando nel mucchio, i mandolini del robusto folk rock di  "Lost Paraguayos"   sono il sottofondo ad un'altra grande prestazione vocale: Rod racconta, urla, ride, sogghigna, accelera, rallenta sempre assecondato dalle chitarre acustiche fino a sfociare nel finale da big band, e quella chitarra elettrica di Woody che contrappunta il tutto è eccezionale!

La cover di Dylan "Mama You Been On My Mind", rispetto all'originale, acquista ricchezza nella tessitura e un sapore di cose andate che non possono farle che bene con la steel guitar in  sottofondo e l'intermezzo dell'accordeon a spostarla verso le brume britanniche piuttosto che le assolate praterie americani... commovente.

"Italian girls" ci tira in ballo non solo metaforicamente, con quell'incedere sontuoso di chitarre acustiche che stordiscono e il piano boogie che entra/esce a piacimento. Quando l'affare si ingrossa al pensiero delle ragazze italiane, le chitarre elettriche si eccitano per l'orgasmo finale cui segue l'attimo di pace : mandolini e violini proprio come al tavolo di un ristorante di Sorrento e Rod che ruffianamente rantola come un gattone:  "...she' s broke my heart... she' s broke my heart ... she' s broke my heart..."

Un'altra vetta del disco: la cover della tenera " Angel" di Jimi Hendrix. Le chitarre mordono ancora e come al solito sono piegate al volere della voce stupenda di Rod, le percussioni con le congas accompagnano il brano per poi perdersi in un sognante finale fatto di campanellini.

Il grande lavoro alla chitarra acustica di Martin Quittenton apre "You wear it well" dedicata da Rod alla sua ex, la ritmica in crescendo e il fiddle che attraversa l'intero pezzo ne fanno una ballata strappacuore, per chi l'ha mai avuto.

Sensazionale è anche la cover di "I'd Rather Go Blind", un lento soul che potrebbe girare in replay all'infinito con quelle poche parole che sussurrano (per quanto la rugosa voce di Rod possa sussurrare) "...preferirei diventare cieco piuttosto che vederti andare via..." L'organo e la brass section in sottofondo costruiscono l'atmosfera ideale per l'ugola di Roddie.

Il botto finale è una straordinaria versione di "Twistin' The Night Away" di Sam Cooke e il gruppo fila via una meraviglia. Ritmica incalzante della ditta Lane/Waller e la chitarra di Ron Wood sono da botta nello stomaco... Questo maledetto riesce sempre a farmi rimettere il vinile daccapo, e ormai sarà la milionesima volta!

Fu l'ultimo suo grande album perché l' ambizione lo portò alla conquista dell'America e oggi si accende il sigaro con un Benjamin Franklin, incurante del fatto che capolavori come questo finiscano nella cesta delle offerte assieme ai dischi dei virtuosi del flauto di Pan e dell'Orchestra Casadei.

Incontro di nuovo i due ragazzi alla cassa e noto la loro risatina di compatimento per il disco preistorico da cinque euro e novanta che appoggio sul bancone, loro sfoggiano i Coldplay a prezzo pieno. Dovrei essere imbarazzato ma, credetemi, non sono mai stato così orgoglioso davanti ad una cassiera perché ho da parte una buona storia e voi a cui poterla raccontare.

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