Per chi non lo conoscesse, Ryszard Kapuscinski è stato un celebre reporter attivissimo nel contesto terzomondista e nei paesi non allineati durante il Novecento, inviato estero dell'agenzia di stampa polacca PAP. I suoi volumi-reportage, fra cui Shah-in-Shah, Ebano e Imperium, sono stati diffusi su larga scala e hanno permesso al lettore di conoscere realtà del tutto diverse dai soliti cliché imposti beceramente dai media soffocati da interessi, governi, imprese e convenienze varie.

Shah-in-Shah è il perfetto resoconto romanzato dell'Iran/Persia all'alba della Rivoluzione nazionale dell'ayatollah Khomeini, cominciata con piccoli ma significanti germi nei primi Settanta e culminata nel 1979 con la cacciata dell'ultimo scià Mohammad Reza Palhavi, il suo esilio, la consacrazione politica di Khomeini e la fondazione della Repubblica islamica dell'Iran, i cui dettami legislativi, politici e giudiziari si fusero in tutt'uno con la legge coranica sciita, l'allineamento alla Shari'a e il predominio assoluto della religione e della relativa morale sulla legalità pubblica. Kapuscinski, inviato dalla PAP in Oriente e chiuso in una stanza d'albergo della capitale Teheran, descrive con lucidità ed encomiabile semplicità lessicale ed esplicativa una serie di "fotografie" dell'Iran al tramonto della propria esperienza monarchica, un paese sull'orlo del baratro economico, contraddistinto da una casta politico-istituzionale indegna di rappresentarlo e soffocato da un sovrano-dittatore che fa del terrore, della repressione, degli strumenti di tortura e della polizia segreta i suoi discutibili metodi di governo. Dotatosi della Savak, vergognosa emulazione della Gestapo nazista e psicoticamente smanioso di trasformare il suo reame - in ginocchio - nella quinta potenza militare del globo, Reza Palhavi approfitta dell'unica risorsa nazionale in grado di attirare capitali e delegazioni estere, il petrolio, investendo malandrinamente l'oceano di denaro piombato nelle casse reali per acquistare un ricchissimo arsenale da guerra. Atterrano così in Iran aerei, armi, bombardieri, carri armati ed altro ancora che lo scià, del tutto inconscio della precarietà organizzativa-strumentale del suo paese (che non possiede porti, strade, ferrovie, ingegneri e tecnici), non sa dove sistemare: è così che il fior fiore della produzione bellica comprata dalle potenze alle quali ha venduto barili su barili di petrolio finisce abbandonata nel deserto, smontata, inattiva e priva di funzionalità.

Attorno a lui e alle sue velleità di effimera potenza il popolo muore di fame, si scalda con il concime bruciato, vive in desolanti e fatiscenti capanne, non conosce istruzione né cultura; le poche e misere università languono, l'intellighenzia e i figli dei ricchi che possono studiare migrano all'estero, facendo perdere alla nazione un terrificante quantitativo di menti e ingegno. E questo spettrale quadretto mediorientale viene completato con la sanguinosa repressione dei dissidenti, l'intervento della pseudonazista Savak, la tortura e le barbarie, nonché con l'abbandono dei dettami della fede sciita, il vero, l'autentico patrimonio spirituale e culturale di un popolo che considera i propri adepti gli unici eredi dell'islam maomettano, successori dello spodestato Alì (genero del profeta) e oppositori del millenario usurpatore sunnita.

Kapuscinski si mostra abile nell'esprimere il fervore e il fermento morale degli sciiti sotto dittatura, illustrando a mo' di deus ex machina contemporaneamente trascendentale e immanente l'ayatollah Khomeini, esiliato dal regime di Reza Palhavi nel '63 tuttavia attivo nella propaganda anti-monarchia/dittatura sino alla Rivoluzione del '79. Dopo anni di sanguinose rappresaglie contro i ribelli (rappresaglie che comprendevano la graticola ardente, l'olio bollente, i pestaggi...), lo scià e i suoi collaboratori nulla possono contro un popolo stremato e affamato, persino annichilito della rocciosità sciita, e sono costretti a lasciare il posto al "santone" capo dei ribelli, al tredicesimo Imam "nascosto". Abolito il regime dello scià, Khomeini fonda la Repubblica Islamica dell'Iran, severamente contraddistinta dal fondamentalismo sciita.

Un ottimo volume di antropologia giornalistica, scritto da un autore mai esausto nei suoi innumerevoli viaggi a zonzo per il mondo "altro", amante del reale e dell'imperscrutabile, lontano dalle solite convenzioni sociali e dal riduttivismo della cattiva informazione, purtroppo ancora preponderante nei media di massa.

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