Buonumore è un titolo che si potrebbe attagliare a uno qualsiasi dei sette dischi dei Saint Etienne: tra dance, lounge, pop, i loro colori hanno le sfumature dei gusti di gelato (violetto marroncino e verde acido), il loro stile è sportivo e un po' retrò, amano un glamour vagamente sixties e adorano la pronuncia francese, che dà sempre quel tocco di eleganza, anche quando si applica prosaicamente, come qui, al nome di una squadra di calcio.

I Saint Etienne (Sarah Cracknell alla voce, Pete Wiggs e Bob Stanley al resto) sono da anni la quintessenza del synth-pop britannico: stilosi, discreti, sorridenti, color pastello come la fu regina madre, sono la faccia brillante e gioiosa del pop. I loro dischi evocano campanelli di biciclette, il rumore aperto di una città in un giorno di sole, adolescenti in occhiali da sole, macchine guidate con relax, alberi che si riflettono su vetri lindi di grattacieli. Il sound dei Saint Etienne si colloca sul presente più glorioso e solare che si possa immaginare.

"Good humor", il loro quinto album, esce nel 1998, trainato dalla deliziosa "Sylvie", l'unica vera canzone dance del disco: un'apertura elegiaca di pianoforte si apre su un tessuto di basso, piano e percussioni, fino a quando i beat prendono corpo ed entra in scena la voce di cristallo, infantile e delicata, della Cracknell, che si rivolge con parole di dolce rimprovero alla sorella minore, diciassettenne reginetta della scuola che le ruba i ragazzi; tre melodie bellissime, e alla fine un trionfo di campanelli e cori. I Saint Etienne sono questo. La loro stagione è un'eterna e tiepida primavera, con gli alberi in fiore e le finestre aperte: telefonare a un amico o uscire da solo e magari incontrarla davanti alla scuola?

Nel resto del disco i tuttofare Wiggs e Stanley rinunciano alle basi elettroniche, preferendo ricorrere in continuazione a sample e decorazioni strumentali (flauti, clavicembali, violini… ) che arricchiscono sempre i pezzi in modo impeccabile e fantasioso (e non a caso i due sono da sempre tra i più ricercati, nella loro Albione, per produzioni e remix). Bellissima "Split Screen", autentico gioiello lounge da ascoltare in macchina tenendo il ritmo con le mani sul volante. "Mr. Donut" è un tipico lento stile Etienne, con la voce della Cracknell che si fa addirittura eterea, fragilissima, e si fa cullare da soffi leni di tastiere che si sovrappongono a melodie sempre molto morbide. Canzone di peluche.

"Goodnight Jack", jazzante, si mantiene in un clima da vacanza di primavera al mare, e così "Lose That Girl", impossibile da ascoltare senza ancheggiare, tra inserti funkeggianti, il basso in bella vista e le solite tastiere che gesticolano dietro la Cracknell agghindata da cocktail. E c'è spazio persino per il folk-pop stile Belle And Sebastian di "The Bad Photographer", buffa e deliziosa spy-story alla francese, o per il funky di "Erica America", o per le melodie e le sonorità molto anni sessanta di "Postman", dove è stravagante l'accostamento tra lo sfondo musicale sporco e ruvido del ritornello e la voce pulitissima e caramellosa della Cracknell. "Dutch Tv" chiude con un tipico clima da albergo all'estero durante una vacanza: la città ignota è fuori che aspetta, illuminata dall'ultima luce, mentre il rumore della doccia si sovrappone a quella della tv accesa. Godetevi l'organetto che attacca la canzone, con le spazzole che schiaffeggiano la batteria: delizioso.

"Good humor" è uno di quei dischi che "fanno atmosfera": in questo i Saint Etienne sono forse tra i migliori sin dal lontano esordio nel 1990 (e comunque tra i maestri dei migliori di oggi). Leggeri ma sofisticati, delicati e assieme mossi, socievoli e ammiccanti, sono un analcolico alla frutta: non stordiscono, vanno giù lisci, lasciano un ottimo retrogusto. Che, alle volte, è giusto ciò che ci vuole.

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