O voi, nostalgici dei movimenti grunge e post-grunge degli anni '90. O voi, amanti di Nirvana, Alice In Chains, Pearl Jam, Temple Of The Dog e Soundgarden. Ma anche voi, proprio voi: voi, che eravate nel ristretto manipolo che, in bilico fra la metà degli anni '90 e l'inizio del Nuovo Millennio, seguiva con impazienza e frenesia gli sviluppi di storiche bands italiane come Afterhours, Fluxus e Negazione. E voi, voi delusi dalla scena musicale odierna, voi che spesso non guardate all'estero (leggasi Inghilterra e U.S.A.), ma cercate di scavare nella scena indie italiana, spesso senza risultato, e con più di un mugugno. Bene: per tutti voi, l'attesa è finita. Ecco arrivato un gruppo, direttamente dalla nostrana Bologna, che soddisferà i palati di voi desaparecidos: i SensAzionE!

Fondati nel 1998 dal cantante e chitarrista Gabriele "Rusty" Rustichelli, dopo una dura gavetta il quartetto emiliano esordisce nel 2004 con "Frammenti... Tra Rumori E Parole", un esordio compatto, ben bilanciato fra liriche (rigorosamente in italiano, of course) e sonorità, ruvide e grezze. L'elemento che non fa gridare al miracolo, però, è l'inesperienza, un'arma fatale per le formazioni debuttanti: detto ciò, "Frammenti..." resta un buon disco, ma, certamente, non un lavoro indimenticabile.

Discorso a parte, invece, per il seguito, "Anche I Pesci Hanno Sete", uscito proprio nel 2007, con all'interno un dvd contenente un'esibizione live al Cencio's.

Artwork a parte (ispirato e ben riuscito, dalle tinte quasi futuriste), tutto ciò che nell'album precedente era appena abbozzato, oppure sviluppato in maniera insoddisfacente e immatura, si trasfigura in una serie di sonorità elegiache ed armoniose, a metà fra il rock radiofonico dei Nineties, la scena grunge di Seattle e l'elettronica sperimentale di inizio Millennio. Senza, per questo, omettere cenni -per quanto piccoli- di melodie più vicine al nostro Paese, come il rock di Subsonica e Verdena. Quello che, in realtà, stupisce, è il concetto testuale. Nella Pantalassa di banalità che racchiude l'idea di "rock", tipicamente italiana, anche e soprattutto a livello di liriche, i SensAzionE passano oltre, sforando completamente questo grigio archetipo. Chi si era specchiato appieno nelle caustiche metriche firmate da Franz Goria (Fluxus) o Matteo Agostinelli (Afterhours), rare eccezioni che profumavano di portento, resterà alquanto sorpreso -piacevolmente, s'intende- dalle briglie sciolte che caratterizzano la ricerca articolata adottata da Rustichelli. Parole che, spesso e volentieri, irrompono tumultuose a sfondare la prosodia, preoccupandosi, più che delle rime e delle assonanze, di arrivare dritte al nocciolo della questione, contando solamente sulla compagnia delle compagne più fidate, le chitarre (un plauso, per questo, alla bravissima Alessia Ippoliti). Il tutto, accompagnato da una meticolosa accuratezza dell'armonizzazione di fondo, tale da trascinare con sé, oltre ai patiti delle distorsioni pesanti, anche i fanatici dell'easy listening. Sempre e dovunque.

Tutti i brani riproducono una capacità compositiva davvero non comune. Come nell'acido punk dell'opener, l'avvincente "Quando La Coscienza Cigola", dove le linee vocali si slogano rabbiose nel refrain, in mezzo ad una vera e propria muraglia sonora ("E la coscienza cigola/ forse è meglio non sapere mai/ se le domande uccidono lei/ rimane attonita"). O ancora, la deliziosa cavalcata di "X Sentirmi Meglio", che odora di flanella lontano un miglio, se escludiamo i pizzicori elettrolitici del ritornello ("E mi alimento di ciò che mi uccide/ per sentirmi meglio/ ma ho già perso in partenza"). Interessantissima anche "Vertigini E Suoni", col suo loop cibernetico che presto sfocia, sfrigolante, in un oceano psichedelico bombardato da corrosive scudisciate in stile A Perfect Circle, energiche ed orecchiabili allo stesso tempo ("Ritengo la realtà più assurda della fantasia/ peggior girone dell'inferno è la quotidianità/ questa finta inclinazione all'onestà non è mia/ non ho più alcun controllo sulla mia frenesia").

Man mano che si va avanti con l'ascolto, dinnanzi ai nostri timpani si ergono veloci, una dopo l'altra, delle perle di sempre maggior fattura: i rintocchi metallici e dissonanti della prepotente "Il Suo Difetto", dove solamente la voce stona un po' -manca l'urlo che renderebbe il tutto più ammaliante-, la semi-ballata, dal retrogusto agrodolce, di "Bianchi Lividi", immersa in una brughiera di fumosi synth -new wave docet?-, o ancora l'amarissimo sarcasmo della giocosa "Vivere A ½", a metà fra il chill-out pop e l'hard rock settantiano, con le liriche sopra tutto ("Un'interferenza nell'inconscio/ e tutto diventa più semplice/ mi scuserai se non riesco ad accettare/ un involucro di plastica"). Senza parlare, poi, di "Overdose Estetica", un impressionante crescendo che, da un claustrofobico gioco di note nelle strofe, si trasforma in una spietata bordata hardcore nel ritornello ("Overdose estetica/ serve in me/ più di quanto vorrei/ overdose estetica/ cresce in me/ più di quanto vorrei").

E, come nel migliore dei copioni, la conclusione si rivela essere la vetta dell'opera: gli otto minuti e mezzo di "Koyanisquatsi" sono quanto di più angoscioso si sia mai sentito in Italia, da dieci anni a questa parte. Un sadico nascondino senza inizio né fine, che si distende per lunghi istanti, tortuoso, fra le urla animalesche del frontman ("E da lontano intarsiano/ e da lontano intarsiano/ un percorso su ebano/ abbiamo lo stesso problema/ usiamo lo stesso sistema/ abbiamo la stessa visione/subiamo la stessa convinzione"), prima di venire sommerso da una serie di mareggiate elettroniche, che non lasciano il benché minimo scampo.

Nel complesso, il cd risulta essere ben proporzionato, ragionato e ultimato in tutte le sue sfaccettature. L'unico appunto, doveroso per aspettarsi sempre meglio in futuro dal quartetto, è quello di incattivire maggiormente i timbri vocali, talvolta troppo in contrasto con l'assetto strumentale, sempre solido e granitico. Se poi riusciranno ad avere maggiore libertà sonora, spaziando in più generi diversi fra loro, e perdendo un po' dell'inevitabile derivatività della loro musica, allora saranno davvero grandi. Laddove, al giorno d'oggi, vengono analizzati ed idolatrati alla massima potenza personaggi più o meno discutibili nella loro mediocrità, si dovrebbe provare a scoprire queste piccole, grandi realtà della musica italiana, poco conosciute non tanto per la loro proposta, quanto per la scarsa attitudine alla luce stordente dei riflettori, o per la scomodità della loro attitudine. Come questi SensAzionE.

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