Brasile terra di speranza
Italia terra di rassegnazione
Brasile terra di sussurri
Italia terra di echi
Brasile terra di tamburi
Italia terra di campane.
Avanti veloce #1 – Radici.
L’Europa era nel pieno della seconda guerra, i mercati paralizzati. Toccava espandere i propri domini in terre più vicine, non si poteva interrompere la «produzione dei sogni». Così Topolino sbarca in America Latina. Saranno il José (Zé) Carioca, il “Tico-Tico”, l’“Aquarela do Brasil”, la cachaça, il Carnevale. “Saludos amigos” (!): nuovi suoni, ritmi, sbuffi, colori, panciate, tucani, pelli, cocchi, onde. Si svelano nuovi miraggi tropicali. Era il loro turno nel mondo.
Politiche di un quieto vivere, dirimpettaio da Rio de Janeiro a Los Angeles, direttamente negli studi di Walt Disney, viceconsole brasiliano, Marcus Vinícius da Cruz de Mello Moraes.
Vinícius de Moraes, Vinà, o poetinha.
Vinícius de Moraes è molte, moltissime cose: diplomatico, poeta, drammaturgo, cantante, musicista, compositore ma più di ogni altra cosa un romantico, uno che ama molto, apaixonado, della vita, dell’alcol e delle donne. Soprattutto le donne: nove matrimoni all’attivo, malcelati ginecei, feste e fiumi di whisky nella sua casa al mare. «De nada», gaudente senz’altro, memore senza sosta altrettanto, di ciò che gioie e dolori gli davano, lui ricambiava affettuosamente con le sue poesie, canzoni e preghiere. Traboccante di emozioni ed una disperata inquietudine per la solitudine, da qualche parte i suoi precipizi di passione dovevano trovar sfocio.
Nonostante la sua fuga da un collegio di gesuiti a soli sedici anni, la rigorosa formazione cattolica lo segnerà profondamente lungo tutta la sua vita, pur nel contrasto con la sua libertà da bohémien e la successiva adesione al Candomblé. Un’esistenza mistica e religiosa, servo di passioni ed incontri, segnati da infiniti contrappunti, sfilata la cravatta frequentava e scriveva delle puttane della Lapa, ballava nei cabaret, era amico di sambisti. In uno dei suoi tanti atti della vita, da buon amante del cinema -oltre a scriverne- filma la stessa realtà in cui vive, preoccupandosene ed interrogandosi sull’abisso quotidiano delle persone, avvicinando il colto al popolare (tra samba e batucada), ne fa poesia granitica.
Odi e sonetti dopo, inizia così a redigere la commistione dei miti greci agli afro-brasiliani delle favelas. Dieci anni di negoziati tra il suo Brasile, l’Uruguay, Los Angeles e la Francia sono la summa di tutto il suo pensiero e l’apoteosi del movimento che da lì a poco avrebbe creato. Debutta al Teatro Municipal di Rio de Janeiro “Orfeu da Conceição”, per le musiche si affida a Antônio Carlos Brasileiro de Almeida Jobim, meglio conosciuto come “Tom do Vinícius”. Si consolida il poeta-musico, che canta perché naturale, canta per la gioia di vivere.
Il successo in casa madre è travolgente e pochi anni più tardi il soggetto verrà usato (mediato come sempre) per una trasposizione cinematografica di produzione Italo-Francese diretta da Marcel Camus dal titolo “Orfeo Negro”.
Orfeo
Nel film Orfeo ed Euridice si seguono costantemente nella speranza di essere l'uno la presenza costante dell'assenza dell'altro e nel mentre danzano e cantano, avvinghiati a nastri e strilli carnevaleschi.
Ma quando le distanze dagli occhi son troppo lontane Euridice svanisce per sempre.
Saperla viva gli dava l'illusione che qualcosa in lui fosse ancora presente e dovesse essere nuovamente scoperchiata. L'unico sbaglio commesso da Orfeo non fu tanto quello di voltarsi, ma quello di interrompere la sua samba: tra un ballo e un pandeiro, gli affanni servono a dar ritmo al cuore.
Orfeo dunque muore due volte, la seconda quando non è riuscito ad accogliere la morte come elemento perpetuo. Non si tratta la morte con la morte o ancor peggio con la non-vita (lassù in paradiso si è troppo distanti) ed è per questo che, senza esitazioni, la chitarra imberbe, ritorna a suonare:
«Tieni suona fa presto, fa nascere il sole.
-Non so… non so farlo.
-Prova inventa.»
Diranno i bambini alla fine del film.
Un samba che nasce dalla morte, dalla mancanza e dall'assenza, un samba per far nascere il sole.
Avanti veloce #2 – Macchie d’olio.
Incette di premi, statue e coppe tra l’Europa e l’America: Orfeo Negro premiato agli Oscar e la Seleção vince la sua seconda Coppa del Mondo. “A felicidade”, notti bianche, “Canções de amor demais”, la chitarra ladra di João Gilberto con “Chega de Saudade”. Controtempo, batida e parole nuove, nasce la Bossa Nova dove basta un filo di voce per cantare.
Getz/Gilberto prima, Sinatra/Jobim con “Garota da Ipanema” poi. Giorni neri, bollori che vengono troncati dal sovvertimento della feroce dittatura militare. Ai figli indesiderati invisi al regime -artisti ed oppositori politici- furono date due possibilità, la fuga dal paese o la tortura e la morte. Chi sceglie Londra, chi Roma.
In Italia si avranno i primi accenni febbrili con Mina, Lauzi, Jannacci, Endrigo.
Il mito bussa alle porte di Pavia, folgorazioni in casa Bardotti.
Sergio Bardotti, Bardoci.
Bardotto, prima studioso/letterato, nell’intermezzo pianista d’accompagnamento per vari gruppi presso night, vecchie balere, aie e sagrati di provincia. Amante degli chansonnier francesi e i crooner americani ma tuttavia costretto a suonare il tango, valzer e cha-cha-cha sino a notte fonda. Esperienze certamente formanti ma sfortunate.
Sulle nascenti mode cantautorali del momento decide di trasformarsi in “Sergio Dotto, il cantautore letterato”, 50 copie vendute, un fiasco. Dopo una breve pausa dai lenti balli decide di laurearsi in lettere e grazie all’aiuto di un suo professore firma il suo primo contratto con la RCA, il primo lavoro è semplice (si fa per dire), curare la pubblicazione di una collana di dischi di poesie lette dagli stessi autori “Edizioni letterarie: la loro voce, la loro opera.”, incomincia così a dirigere Montale, Quasimodo, Pasolini, Ungaretti. La raccolta letteraria fallì (proprio scalognato) e divenne rincalzo come assistente musicale per Gino Paoli, Bindi ed Endrigo.
Infine è difficile trovargli un posto fisso: produttore, traduttore, cantautore, liricista, poeta, poeta per musica, “transcreatore” (eh?). Un amante della parola, del suono, della musicalità, della lingua e della penna che batte sui denti: linea-punto-linea-punto-punto, mosaicista, con ago e filo cuce accenti e lunghezze per inserirne di nuove e diverse, spesso aggiungendo poesia a poesia, tradendo e svelando (all’autore originale nel caso di traduzioni) diverse intimità e spiritualità prima sconosciute. Su carta cesellatore, su carne sarto.
Ocho atrás (otto passi indietro). L’altro Sergio, inseparabile compagno, giovane cantante d’orchestra conosciuto tra un servizio ed uno scambio durante una partita di ping-pong in uno dei tanti night club che i due frequentavano. Tra queste battute una coppia inseparabile, uno al piano l’altro alla voce. Endrigo per Bardotti sarà iniziatore di molte rivincite, già famoso in Italia e nel mondo grazie ad “Io che amo solo te” porta i primi dischi di Vinícius de Moraes direttamente da San Paolo, aprendo così le finestre di un mondo da sempre anelato e lambito. Sere ad ascoltare i dischi di bossa-nova, studiando il portoghese, decifrando gli accordi di “Chega de Saudade” e le infatuazioni per “Samba em preludio”: nuova dimensione della poesia in Brasile. Grazie a lui i primi riscatti con “Era d’estate” e dopo tutto in discesa, tra successi commerciali e canzoni d’autore scritte per Gino Paoli e quel diavolo di Lucio Dalla.
Con quest’ultimo la sua prima partecipazione come autore al festival di Sanremo, prima di tre ultimi posti consecutivi…ritorna la sciagura. Riprova nuovamente, ultima possibilità, pena esilio discografico, presenta nel 1968, insieme all’amico di sempre Endrigo, “Canzone per te”.
Avanti Veloce #3 – Conquistadores.
Primo festival di Pippo Baudo, ombre ancora dense, Armstrong e alieni anticipatori di allunaggi, la concorrenza è spietata. O Rei, Roberto Carlos lo straniero designato in accoppiata ad Endrigo. Struggimenti ed ovazioni, “Canzone per te” vince il festival di Sanremo.
Andata di tournè brasiliane, accoglienze imperiali, accenni di note e cori manifesti, in italiano fino alla fine. I primi incontri con Chico Buarque e Pelé. Sogni, desideri e rinascite.
Ritorno a Roma, atri d’attese e rifugi, Hotel Raphael, Brasile-Inghilterra 2-1, «Hein Bardottinho, como vai». Amicizie di sempre in una nuova vita.
Scalo Moraes-Bardotti.
“La vita, amico, è l’arte dell’incontro”
L’ Hotel Raphael di Roma in quel periodo era il porto sicuro per gli artisti brasiliani di passaggio (pensate che “Águas de Março” nacque lì) e de Moraes, autoe-siliatosi, aveva da pochissimo “dismesso” i panni da diplomatico così da potersi immergere senza riserve nella sua arte.
Bardocì freme, finalmente davanti ai suoi occhi l’aedo tanto desiderato, alla mente i ricordi di quando lo traduceva per il puro gusto di farlo, figlio di un atto d’amore sincero. Lì stesso, in quell’albergo nasce l’idea del disco, un concept che intrecciasse le passioni più grandi di entrambi: musica e poesia.
Strumenti alla mano, mancavano solo i modelli, e di amici i due, ne avevano tanti. Abile “regista d’incontri”, organizzatore nato, Sergio sa esattamente chi chiamare.
C’è ovviamente Orfeo con “A felicidade” e se poi di poesia di tratta, il primo nome non poteva che essere quello di Giuseppe Ungaretti, chiamato “Ungà” da Vinícius, a sua volta ricambiato con “Vinà”. I due erano amici, conosciuti durante il periodo in cui Ungaretti insegnava letteratura italiana all’Università di San Paolo e traduttore di diverse poesie del poetinha, alcune (ridotte da Bardotti) presenti nel disco stesso. A lui il compito di recitarle.
Ungaretti, nelle poesie dette, s’arrovella, dona slancio, poi giù, sommesso, profondo; borbotta, guarda all’insù, distende la voce rugosa, rimbomba… in gola aspra e cavernosa.
De Moraes invece è pasta di miele, scioglievole, dolcissimo, liquoroso. Carezza che indugia, onda che avvolge. Notevole in tal senso “Poetica I” con le due voci che si intrecciano.
Per il canto scontato l’affidamento, scontata l’adesione. La voce di Endrigo, sempre composta e melodiosa da corpo ai sussurri portoghesi con il suo fare perennemente disincantato e fatalista ma estremamente romantico. Canzoni come “Perché (O que tinha de ser)”, “Se tutti fossero uguali a te” e “Poema degli occhi” sembrano esserci cucite di tutto punto.
Sistemate le parole mancava solo la musica, e di musica ne erano piene le sere passate nella sua casa di Mentana, con vicini Luis Bacalov (arrangiatore del disco) ed Ennio Morricone, le giornate giocate a pallone nel campo di Gianni Morandi in una quasi Italia-Brasile 1970. Il decimo in campo lo porta Chico Buarque, si chiama Antônio Pecci Filho, detto Toquinho, anch’egli musicista, o violão. La chitarra di Toquinho, 23 anni, sembra quella di sempre, imbastitura fluida che collega l’intero album dall’inizio alla fine, unendo i recitati alle canzoni. Due sono i suoi intermezzi: “Serenata dell’addio (Serenata do adeus)” e “Deixa”.
Un disco fatto di canzoni sentimentali, per bambini e lunghe poesie, per certi versi sacro, prodigio di macumba e fede nell’inconoscibile, di cui, a Rio, le rive colme.
Non è un caso che si apre e termina con una benedizione (“il samba è preghiera se lo vuoi”) come non è un caso “Il giorno della creazione (O dia da criação)”.
Da qui in poi si prende ago e spillo, «tutti i poeti sono traducibili se si conoscono profondamente» concetto che viene ampliato se si pensa che Vinícius e Bardocì in un certo senso fossero la stessa persona: letristas-cantores, il piacere della vita e di viverla con qualcuno, mediatori di sentimenti e relazioni, del disinteresse gratuito nel dare amore. Ciò che Bardotti traduce, con facilità, rendendo cantabili le canzoni, aiutandoci a comprenderne il senso, aggiungendo poesia alla poesia con nuovi suoni e immagini, controbilanciando le perdite date dalla resa, se riesce è perché è più simile all’uomo stesso che al poeta, perché entrambi hanno concepito la vita un’arte dell’incontro e la musica è soltanto un modo di credere.
Altare e consacrazione di tutto l’album è “La Casa (A casa)”, filastrocca scritta dal poeta carioca per i nipoti e trasformata dal Serginho in soli dieci minuti con l’aggiunta di novità stilistiche, quale il verso della pipì ed il vasino, ben accolto perché «ai bambini piacciono le piccole parolacce».
La casa diviene partenza e approdo. In Via dei matti vige follia e divertimento: un luogo dove i bambini, più creativi degli adulti, ribaltano la realtà.
Avanti Veloce #4 – Nuove chiome.
Ci vuole un fiore, Rodari incontra Endrigo, parceiro fino alla morte, Toquinho incontra Vinícius, nuove traduzioni, Chico Buarque incontra Bardotti.
Nuove voglie, pazzie, incoscienze ed allegrie.
«Non è nelle carte che si trova la gente» ripete l’impiegato delle persone scomparse ad Orfeo.
E allora ve lo dico io dove potete incontrarli, se siete pigri…spero non scettici, accogliete il “Samba delle benedizioni”, potete trovarli tutti riuniti, perché Vinícius de Moraes e Sergio Bardotti mi hanno insegnato, tra un sorriso e una saudade, che dove termina un ritmo, nasce un altro battito, e tutto il mondo, prima o poi, s’impara a sambarci sopra.
Vinícius de Moraes saravá!
Toquinho saravá!
Giuseppe Ungaretti saravá!
Sergio Endrigo saravá!
Luis Bacalov saravá!
Sergio Bardotti saravá!
«Se todo mundo sambasse, seria tão feliz viver» [Chico Buarque]
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