Allora, ancor prima di iniziare, propongo di ergere un monumentale vaffanculo a tutte la male lingue reazionarie che ripudiano a prescindere il nuovo rap italiano. Anzi, ci ha già pensato Maurizio Cattelan (seppur con altri destinatari), perciò, se siete dei vecchi conservatori o ciechi puristi hip-hop, vi consiglio di posizionarvi davanti al dito medio posto innanzi alla Borsa di Milano e di farvi investire da tutto il suo disprezzo. La nuova scuola trap ha fatto solo bene alla nostra musica. L'ha svecchiata, ha levato dalla testa dei rappettoni trent'enni il New Era da ragazzino infoiato e soprattutto ha levato di torno i detti rappettoni e la loro retorica della musica da strada, impegnata, proletaria. Il rap, pur non precludendo la malinconia e la serietà, deve anche essere fresco, arrogante, politicamente scorretto, scanzonato. Ma anche creativo, e i vari Ghali, Tedua, Rkomi, Izi e Sfera Ebbasta hanno veramente ribaltato in meglio e in meno di un anno l'idea di rap all'italiana, portando, per la prima volta, un suono dal respiro internazionale.

La rivalsa dello stile sulla tecnica e dello swag sui contenuti, però, non giustificano la produzione di musica frivola. Il nuovo album di Sfera Ebbasta, Rockstar è un album frivolo, sciocco, fiaccamente provocatorio. Sfera si diverte a narrarci della sua vita da "rockstar" (perchè il rapper di oggi sarebbe la rockstar di ieri) filtrando il tutto attraverso un'estetica fatta di cuoricini, pellicce rosa, bacini, coniglietti, sciroppi, trap-boy, oppiacei gusto caramella. Ebbasta, dai. A fare 'ste cose ci aveva già pensato la Dark Polo Gang, portando il tutto a livelli di leggerezza e ignoranza molto più consoni a quello che è il loro personaggio.

Sfera non era mai stato così. Per carità, lo spirito scanzonato non gli mancava, ma lui era anche il bravo ragazzo nei brutti quartieri, quello con una storia difiicile, quello dal bruciante desiderio di rivalsa, quello con un certo gusto per la canzone pop fatta bene. Il disco precedente, l'omonimo Sfera Ebbasta, non mancava di sbandierarci in faccia i piaceri del successo, ma manteneva una certa vena conscious nel parlare di com'era la vita prima di farcela e di com'era la vita di chi, a differenza sua, invece non ce l'avrebbe mai fatta, imprigionato tra i soffocanti androni dell'hinterland milanese. Il tutto prendeva forma in canzoni notturne, umbratili e anche profonde ("Notti" e "B.R.N.B.Q." su tutte).

Nel nuovo album, invece, Sfera si è totalmente piegato alle comodità della canzone disimpegnata, palesando una grossa involuzione rispetto al maturità artistica dimostrata nei lavori precedenti. C'è chi dice che non poteva essere altrimenti, che sarebbe stato ipocrita da parte sua parlare d'altro rispetto alla sua vita da esteta. Probabilemente è vero, e in realtà non è questo il motivo che mi porta a essere deluso da questa nuova prova. La grossa mancanza di questo disco risiede piuttosto nella sua ottusa ostinazione a cavalcare sonorità ormai vecchie: la trap presa bene, infatti, è invecchiata da tempo, e anche piuttosto in fretta, ma questo disco la ripropone fieramente, come convinto di portare un'inedita freschezza. No, non è che se Rolling Stone dice che il 2018 sarà l'anno della trap, allora c'è da crederci. Non siamo nel 2016, e forse è giusto ricordare come già nel 2014, in netto anticipo rispetto a tutti, Sfera e il suo produttore Charlie avessero già scritto la canzone trap definitiva, ovvero "XDVR", cantilentante martellante e allucinata al punto giusto. Quattro anni dopo i due sono ancora qui, a proporci una versione riciclata e edulcorata di qualcosa che già avevano dimostrato di saper maneggiare con maggior perizia.

Tolto il cloud-pop e la bella melodia della title-track, le influenze latin della già nota "Tran Tran", l'ottimo tiro di "Sciroppo" e "Cupido" (con un feat. di Quavo che però lascia a desiderare tanto pare forzato), il resto del disco ci propone musica della quale avremmo anche fatto a meno. Peccato, perchè le premesse per un lavoro migliore c'erano. Invece, ci troviamo di fronte a un album bruttino, nato vecchio, che invece di lanciare Sfera come il credibile nuovo volto del pop italiano, ce lo presenta come il trapparo abile a sfruttare una moda che lui stesso ha contribuito a creare (e le vendite da capogiro lo dimostreranno). Lui può permetterselo, direte voi; è lecito aspettarsi di più, dico io.

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