Ben Chasny non ha mai composto musica "semplice". Le sue mantriche visioni musicali hanno raccolto ottimi pareri ed entusiasmi questo è certo, ma mai convincendo una larga fetta di pubblico. La sua creazione artistica è rimasta sempre circoscritta ad una ristretta nicchia di amanti di un folk al di fuori del tempo e dello spazio, contaminato dalla tradizione americana, da un'elettronica "desertica" e da un fingerpicking dal rimando nostalgico.

Per tutte le influenze insite nel suo modo di comporre e anche per le buone prove degli ultimi "Shelter from the ash" e "Luminous night", c'era una certa aspettativa nei confronti di "Asleep on the floodpain". La paura (almeno da parte di chi scrive) era che Chasny si distaccasse troppo dalle atmosfere incupite di "Luminous night", perdendo in parte quell'alone di mistero che per fortuna la musica dei Six Organs Of Admittance ha comunque sempre mantenuto.

L'approccio è stato quindi quello cauto tipico di chi non sa cosa aspettarsi: capacità che riesce ad installare nell'ascoltatore soltanto chi riesce sempre a stupire, come appunto il "profeta" Ben. Poi, con lentezza, le note del nuovo disco del progetto SOOA sono iniziate a fluire, confermando (almeno in parte) quelle che erano un po' le mie paure.

Partendo dal presupposto che banalità è una parola che il repertorio di Chasny non conosce, il suo ultimo lavoro potrebbe sembrare banale. L'impatto è stato quello: alle mie orecchie "Asleep..." suonava fin troppo "semplice" e fuori dai normali canoni dei SOOA, dando quindi l'impressione di essere "banale". I ripetuti ascolti sono infine riusciti a convincermi della bontà dell'ultimo cd, sebbene lontano dai fasti di opere passate. La dolce chitarra di "Above a desert I've never seen" e della successiva "Light of the light", appare infatti fin troppo canonica, ma diventa elemento fondamentale del matrimonio con la voce di Ben, come accade nel secondo caso. Un disco che spruzza folk da tutte le parti, ma non è quel folk carico di pathos e densità oscura di "Luminous night": in parte viene meno anche la carica malinconica di "Shelter from the ash". Nel complesso appare troppo scarno, privo di quegli incastri all'interno dei vari pezzi che possano donare sostanza al tutto. "Hold but let go" riesce comunque a convincere, reggendosi sull'ugola del nostro, mentre in "S/word and Leviathan" Chasny indugia troppo su riti sciamanici, perdendosi in sogni fin troppo astratti e alla lunga stancanti. Nel momento in cui torna a tracciare trame sottili con chitarra e voce, Chasny si riappropria degli antichi lamenti desertici, come in "Dawn, running home", scorrevole e atmosferica.

Eppure non è il solito viaggio dei Six Organs Of Admittance: si procede a singhiozzo tra pezzi un po' anonimi ("Saint of fishermen", "Poppies" e "A new name on an old cement bridge") ed altri maggiormente riusciti. Nel complesso però il rito di Chasny sembra non possedere la solita carica emotiva e spirituale. Appare un po' privo di sostanza e meno efficace del solito.

1. "Above A Desert I've Never Seen" (5:03)
2. "Light Of The Light" (2:49)
3. "Brilliant Blue Sea Between Us" (3:34)  
4. "Saint Of Fishermen" (1:02)
5. "Hold But Let Go" (4:21)
6. "River Of My Youth" (5:35)
7. "Poppies" (1:00)
8. "S/Word And Leviathan" (12:25)
9. "A New Name On An Old Cement Bridge" (2:57)
10. "Dawn, Running Home" (5:04)

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Di  nes

 Un disco sghembo, storto, scorticato, improvvisato, rumoroso, inutile negarlo: fastidioso.

 Questo disco è qualcosa... non ho ancora capito cosa, ma è qualcosa.