Gli Slaves provengono da Royal Tunbridge Wells, Inghilterra. Sono un duo composto da ragazzi appena ventenni, Lurie Vincent e Isaac Holman.

Il loro album d’esordio, “Are You Satisfied?”, li ha posti definitivamente all’attenzione del grande pubblico birtannico dopo una buona serie di ep e singoli, visto il suo esordio in top ten e la nomination al Mercury Prize 2015.

Dato che sorprende ancor di più se si considera il genere proposto dal giovanissimo duo. Definito da più parti british punk blues, in realtà la loro è un commistione clamorosamente coerente ed azzeccata di vari generi ed influenze, che confluiscono in maniera naturale in un sound unico ed omogeneo, principalmente grazie alla spontaneità della proposta.

Un sound grezzo e quasi ingenuo, nel quale confluiscono i generi sopracitati, certo; ma vi si riscontrano anche tracce di rap ed hip hop (non quello patinato di Jay Z ma piuttosto quello secco e sgangherato di The Streets), noise, hard rock e qualsiasi altra cosa unisca fragore e melodia.

Il singolo “Cheer Up London” (splendidamente nonsense il video, consigliatissimo), miglior brano dell’album, è una lampante linea guida dell’intero lavoro: riffone di chitarra secco e granitico, cantato perfettamente in equilibrio tra rap scazzato con accento cockney e irriverenza punk, refrain trascinante e immediatamente assimilabile. E il tutto arriva dopo l’altrettanto rocciosa apertura con “The Hunter”. Da lì in poi il disco accelera piacevolmente, come nelle trascinanti “Sockets” e “Do Something” (quest’ultima, nello stile, sorellina minore di “Cheer Up London”), e raramente rallenta, come nella curiosamente acustica titletrack posta a metà disco, come se i ragazzi provassero a fermare un masso in caduta mettendovisi davanti a mani nude.

Qualche pezzo gira inevitabilmente in tondo come un cane che si morde la coda (“Ninety Nine” e “Live Like An Animal” non ci capisce dove vogliano andare a parare), ma sono peccati di gioventù che si perdonano volentieri, almeno per ora.

Specialmente quando si dimostra di essere in grado di puntare persino sull’intensità, come nella chiusura di “Sugar Coated Bitter Truth”, buon viatico per un ipotetico futuro.

Miglior brano: Cheer Up London

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