Parlando di formazioni di Canterbury è normale imbattersi in continui cambi d'organico all'interno non solo di band ancora in cerca del proprio suono, ma anche di complessi con una lunga storia alle spalle e numerose pubblicazioni discografiche. I Soft Machine sono uno di quei gruppi che hanno visto susseguirsi senza sosta al loro interno un numero impressionante di musicisti di ottimo livello, cambiando ogni volta la sostanza della propria musica, lontana da ogni sorta di rigida categorizzazione.

Nel 1974, dopo aver realizzato sette album, dei membri fondatori della "macchina soffice" non rimane che il tastierista Mike Ratledge (in realtà unico superstite già dal Luglio del 1971, periodo dell'abbandono di Robert Wyatt, qualche mese dopo la pubblicazione di "4"), il quale, preoccupato per un mancato rinnovamento delle sonorità tra "Six Album" e "Seven", decide, insieme agli altri componenti, di aggiungere un chitarrista alla line-up di base (posto rimasto vacante sin dai tempi dell'esordio con Daevid Allen) e si rivolge ad Allan Holdsworth, fresco dell'esperienza con i Nucleus. Grazie al nuovo arrivato il genere proposto si sposta verso un jazz-rock poderoso ed elegante, dai tratti antesignanti certe caratteristiche proprie della fusion, e vede l'apporto, oltre dei due sopracitati strumentisti, del bassista Roy Babbington, del batterista John Marshall e del sassofonista e secondo tastierista, nonché nuova mente artistica della band, Karl Jenkins.

Il disco che ne esce porta il nome di Bundles (uscito nel 1975 nonostante le registrazioni risalgano all'anno precedente) e ci mostra composizioni incentrate sull'estro incontenibile di Allan e sulla fantasia esecutiva di John, adagiate sui tappeti sonori intessuti da Mike e Karl e sul ritmo sottolineato da Roy. La suite iniziale "Hazard Profile" (rifacimento del pezzo "Song for the Bearded Lady" scritto da Karl ai tempi in cui militava nei Nucleus ed inserito in "We'll Talk About it Later" del 1970), divisa in cinque movimenti, alterna parti più sostenute, guidate da Allan, ad altre più rilassate, in cui le tastiere svolgono un ruolo più centrale, senza mai però eclissare la chitarra, vera protagonista dell'album. Brani come l'acustica ed inusuale "Gone Sailing", la stupenda title-track "Bundles", collegata all'energica e trascinante "Land of the Bag Snake", non fanno altro che confermare questa tesi, che vede soltanto John in grado di contrastare l'egemonìa chitarristica dei pezzi, con i suoi assoli di batteria (Four Gongs Two Drums) e i suoi tempi ora delicati seguendo il romantico sassofono di Karl (The Man Who Waved at Trains) ora dirompenti sostenendo l'oboe (Peff).

Una nota a parte va fatta per la conclusiva "The Floating World", nella quale le tastiere del solito Karl abbracciano languidamente le eteree armonie scaturite dal flauto dell'ospite Ray Warleigh, trasportandoci così in volo nella parte più blu del cielo, verso pacifiche terre cullate dai venti e sospese oltre le nuvole, che nascondono questi luoghi incantati alla nostra vista.

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