Cokaygne era il termine utilizzato in epoca medievale in Inghilterra e in Scozia per identificare una mitica terra dell'abbondanza, nella quale regnano l'ozio, il lusso e ogni genere di libertà, senza limiti o controlli, dove le restrizioni della società e della religione non hanno ragione di esistere. Questo luogo utopico pare essere stata l'ultima tappa che i Soft Machine decisero di fare prima di sciogliersi definitivamente nel 1980, subito dopo il termine delle registrazioni di questo Land of Cockayne che troverà posto negli scaffali dei negozi solo l'anno seguente.

A voler essere sinceri la band era già arrivata al capolinea nel 1978, alla fine del tour dal quale è stato estratto il live Alive and Well - Recorded in Paris, ma, due anni dopo, Karl Jenkins richiama all'appello i compagni per realizzare quello che sembra essere più un suo progetto solista che l'ultimo disco della band. Le tracce infatti portano tutte la sua firma e la musica che ne esce è un soft jazz fusion, magari a volte fin troppo accessibile e poco innovativo, ma di sicuro raffinato, elegante ed estremamente piacevole da ascoltare.

Insieme a Karl e al batterista John Marshall, torna Allan Holdsworth alla chitarra e Ray Warleigh al sax alto e al flauto, mentre fanno la loro prima apparizione nel complesso l'ex Cream Jack Bruce, addetto al basso, John Taylor alle tastiere e Dick Morrissey al sax tenore. Oltre alle guests, formate dal chitarrista Alan Parker e dai coristi Stu Calver, John Perry e Tony Rivers, è presente anche l'orchestra in quattro episodi dell'album.

I fiati sono i veri protagonisti della scena e se il sassofono di Dick apre il sipario con i toni morbidi di "Over'n'Above", il flauto di Ray risponde subito con le atmosfere etniche di "Lotus Groves". La sfida s'interrompe solo per il penetrante movimento orchestrale "Isle of the Blessed", che introduce "Panoramania", uno dei pezzi più riusciti del disco, in cui John Taylor disegna uno splendido assolo tastieristico che attraversa gran parte della composizione. La superba chitarra di Allan si fa riconoscere prima nelle arie maestose di "(Black) Velvet Mountain" e poi nel duetto con il sinuoso sax di Ray in "Sly Monkey", mentre John Marshall con la sua batteria, insegue, tra tempi assurdi, il sax di Dick, dominante nella spettacolare "Hot-Biscuit Slim". Ray, per mezzo dei suoi fiati, intarsia anche gli episodi più brevi, come la languida "Behind the Crystal Curtain", l'orientaleggiante "Palace of Glass" e la conclusiva "A Lot of What You Fancy...".

Il disco in questione scatena opinioni divergenti (per utilizzare un eufemismo) tra gli appassionati dei Soft Machine: da una parte i fan della prima ora, aggrappati ai capolavori sperimentali del passato e detrattori del lavoro di Karl e soci, dall'altra gli amanti del jazz, che vedono nelle ultime fatiche della band il loro picco qualitativo. Lungi dall'esserci una parte giusta e una sbagliata (stiamo praticamente parlando di due gruppi nonché di due stili completamente diversi), evitiamo inutili paragoni, che possono rischiare di farci arrivare prevenuti e sfiduciati di fronte ad un nuovo ascolto, e concentriamoci sulla musica, ottima dalla prima all'ultima nota.

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