Sono a letto, sveglio da qualche decina di minuti ma di affrontare così, all'improvviso, la giornata non è che ne abbia proprio voglia. Ci sono un sacco di rumori che mi piacerebbe sentire mentre me ne sto abbarbicato dentro il piumone. Il rumore della pioggia, gocce kamikaze che si spezzano sulle tegole, quello della moka che gorgoglia ma lei, che me lo preparava ogni tanto, non c'è più da qualche mese ormai. Anche i gridolini della nuova vicina di casa, quella che appena arrivata mi ha degnato di uno sguardo sul quale c'era scritto chiaramente "sfigato"; sì quei rumorini mentre gioca a fare il rodeo con il Big Jim di turno mi potrebbero piacere. Ma questi muri sono troppo spessi. Un altro rumore che mi gradirebbe sentire è quello di qualcuno che si muove per casa, passi indistinti in lontananza per la coccola di una presenza che non ti fa sentire così solo. Ed invece il rumore che mi fa alzare le chiappe è quello metallico di una pala che morde l'asfalto. Un rumore secco, inequivocabile: è ora di fare assieme ai vicini un po' di palestra. Cinque sotto lo zero almeno, saluti di circostanza e in 10/15 minuti una decina di braccia sono lì pronte a spalare e mentre i fiocchi scendono copiosi a grugnire per pulire la rampa, il piazzale e togliere la neve dalle macchine. Si è quasi finito dopo due ore ed eccolo arrivare il figlio di puttana "Porsche Cayenne vestiti griffati culo di piombo" di cui, per motivi di privacy, farò solo il nome: Carlo. Quindi stavamo rientrando quando il bastardo, di cui per motivi di privacy, dirò solo il cognome: Albertini. Insomma questo bipede paraculo dal 730 a cinque zeri se ne esce con un "Ma come, avete già finito?! Scusate ho sentito solo ora". La pala pesa dopo due ore ma magicamente diventa leggera e fa un semicerchio giottesco nell'aria pungente e gelida per tagliargli di netto la giugulare. Sangue quasi nero a fiotti imbratta me e i quattro vicini. Balliamo su pozzanghere color porpora che macchiano la neve, tiriamo le righe di un campo da tennis sulla bianca coltre del prato e con i suoi zebedei cominciamo una partita. E invece no: biascico qualcosa tipo, "fa niente" e rinculo a casa. Non mi risponde nemmeno, non sono nemmeno un proprietario.

O mi sparo qualcosa tipo "Bastardi Senza Gloria" e immagino il suo faccione mentre mi prendo il suo scalpo oppure mi calmo. Mi calmo. Metto sullo stereo a volume vigoroso "Don't Give Up On Me" di Solom Burke e quell'ominicchio insignificante scompare. Sì lo so che è un doppione inutile ma io non farò la tastierocronaca dei brani, non ne sono in grado, non parlerò dei mostri sacri che hanno scritto queste canzoni per il disco in questione e nemmeno parlerò della bontà dei musicisti che hanno suonato con Solomon tra i quali se ne annoverano di eccelsi. Non vedo perché ripetere quanto già ben descritto.

Vorrei solo che qualcuno inciampasse per caso in queste righe, perdesse l'equilibrio e seguisse il mio esempio ascoltandosi questi 50 minuti circa come se fossero un'unica grande canzone. Già, perché con Sputifive la gente paga per poter "skippare" le canzoni. Ma cazzo la musica è un continuum che va assaporato e allora sparatevi questo viaggio da "Don't Give Up On Me" sino alla conclusiva "Sit This One Out". Burke si appoggia con maestria e passione a ritmi cadenzati; sento i battiti del mio cuore rallentare, le dita strette a pugno rilassarsi ed infine aprirsi. I miei 90 chili, spalmati grossolanamente su una fetta di pane lunga un metro e ottanta, diventano una piuma. La mia testa. Ciondola. Mentre chiudo gli occhi e mi trasformo in una bandiera in balia di una tiepida brezza, la sua voce. Sono in mezzo alle note delle spartito; non lo so leggere ma l'unica cosa che posso dirvi è che sono quelle giuste; sono rotonde e precise come un dritto di Federer e sì, anche se sono 'gnurant, riesco a godere a pieno delle melodie cangianti, ora in crescendo, di questo fiume sonoro che mi pizzica dolcemente sulle braccia tozze e mi fa godere. La pelle d'oca non mente. Godere come quando fai l'amore un paio di volte e dopo essere venuto per l'ultima volta sprofondi per qualche secondo nel letto o sul pavimento e diventi una bambola di pezza mentre la stringi e non hai bisogno di altro. E quando infine questo pezzo di plastica termina la sua corsa l'unica cosa che ti viene voglia di fare è premere nuovamente il tasto play. Droga sonora tanto ben scritta, prodotta, suonata e cantata che tutto il resto passa in secondissimo piano, quasi scompare.

Carlo chi? Di nuovo quel rumore. Devo tornare a spalare!

Carico i commenti... con calma