Finalmente. Ho pensato. Finalmente mi capita di nuovo tra le mani un album con una copertina che parla da sola, che fa da specchio dell'animo musicale che racchiude. Il buio, i satelliti, la gravità, il lunare.

Fin dal primo ascolto, proiettato nell'orbita lunare, dai beat seduti e dall'aerodinamicità delle frequenze in tutte le tracce: i suoni si riescono a figurare, specie con un (consigliato) ascolto in cuffia (ripetuto).

I bassi l'oscurità, i synth brillano di luce naturale, le voci sono quel che di umano resta. Uno sguardo tribale, un sostegno di fiati, un consiglio dal passato (TV on the Radio o Peter Gabriel che sia) cotti in un forno spaziale.

Dopo i primi tre brani che dalla rampa di lancio sparano nell'ombra, arriva Easy a rappresentare l'impatto sul suolo selenico: tocchi sul battere con eco essenziali: non perché ridotti al minimo, ma perché indispensabili.

Abbiate fede e dateci un ascolto, stop.




Carico i commenti... con calma