Soul Coughing: espressione metaforica per descrivere una crisi di vomito, nient'altro che una parentesi nella poetica di Mike Doughty a dare il nome all'ormai deceduto ensemble di cui faceva parte.

Senza nessun particolare riferimento a ciò, quel che distingueva i conati musicali della band era uno stile senza precedenti e difficilmente catalogabile, dove la proposta si poneva come un eterogeneo blocco di musica composita: lo sperimentalismo è un giunto che unisce funk, rock, pop, jazz, hip-hop secondo costrutti del tutto sregolati. Lo stile si potrebbe riassumere negli elementi di musica nera che vengono stravolti in un'ottica bianca di suonare, secondo una ricetta assolutamente non convenzionale. Il sapore compositivo potrebbe invece essere descritto inteso come avanguardia grossolanamente melodica, ma queste espressioni risultano in ogni caso limitate per le loro composizioni che sembrano quadri immagini sproporzionate.

Con il suo modo sgraziato di suonare la chitarra e fraseggiare, Mike Doughty si pone principalmente come un non cantante. I suoi poetici monologhi aggiungono elementi alla struttura portante dell'immensa orgia ritmica che la band crea, senza mai trasformarsi nè in puro rapping, nè in puro spoken. Ma il tappeto sonoro di più spessore è steso da un contrabbasso tozzo, goffo, che sembra alto chilometri e corre rimbalzando nei suoi smorzati contrappunti. Le percussioni sorreggono magistralmente la baracca e sample/tastiere talvolta decorano gli affreschi, talvolta si fondono alla ritmica. La loro è estrema raffinatezza adeguata ad un modo di suonare totalmente inelegante. Gli schemi si compongono di iterazioni che variano nella sovrapposizione, facendo perdere il classico approccio di ascolto a fronte di una completa immersione in questo imponente moto rotatorio. Una musica di suoni instabilmente appesi ad un filo traballante da l'impressione di continuo smontaggio.

Irresistible Bliss è la loro seconda fatica, e rispetto all'esordio del'94 (il capolavoro Ruby Vroom) mostra una band che cerca di sperimentare al contrario: un suono leggermente raddrizzato, normalizzato secondo uno standard più pop. Niente di eccessivamente diverso da quanto già visto, e forse l'effetto a sorpresa che viene a mancare è ciò che pesa sul lato negativo del disco. Leggermente più vario ed eclettico nella proposta, ma meno frenetico ed elastico.

Suoni attutiti, scatting, parentesi elettroniche (da intendere), samples, singulti musicali, filosofia groove-oriented; niente di tutto ciò che li caratterizza manca, è semplicemente un lavoro sputato in maniera più prudente, che risente del mancato assalto a sorpresa. Meno jazz e meno lineare (nel proprio sistema di riferimento) dell'esordio, rimane qualcosa di immensamente valido nella loro esigua discografia. Non sarebbe infine giusto non citare l'opening track Super Bon Bon, probabilmente il capolavoro del lotto che rende perfettamente la sagoma della band.

Consiglio di rispolverare questo disco, ma non prima di quell'opera d'arte che è Ruby Vroom, l'episodio che meglio ha dipinto l'affresco di questa bizzarra e stravagante entità tossita dalla New York dei 90s.

Deep slacker jazz.

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