Prigioniero

Sono appena passate le 20 di Mercoledì 11 Aprile 2007 e sono ancora imprigionato in questa musica, felice di esserlo. Da quando ho iniziato ad ascoltarla la notte è calata all'improvviso e mi sono arreso ad una nuvola di suoni che galleggiano tra elettronica, rock, blues, country, soul e gospel. Immagini indefinite, vaporose, apparentemente in contrasto che si fondono insieme, condensando emozione accanto a schegge di emotività incapaci di esplodere mai del tutto, lineari. Perso in queste atmosfere ora mi chiedo come sia potuto accadere. Come ha fatto questo disco a vincere la mia volubilità musicale, la mia tendenza innata ad annoiarmi continuamente?

La risposta non può che corrispondere ad un nome: Mark Lanegan. Sì, è colpa sua, della sua voce roca, ombrosa, luciferina, seducente e inquietante, presente in ben otto canzoni di questo secondo album degli inglesi Soulsavers (Rich Machin e Ian Glover). Un lavoro cupo, oscuro, caldo, onirico, avvolgente, bellissimo, dove ogni canzone è una certezza. Mantiene dal principio quel che promette, non tradisce mai. Ecco perché quando parte la musica, tra un sibilo elettronico, una chitarra arrugginita, un coro gospel e la voce, si sa già come proseguirà la strada. Non resta che percorrerla e ognuno può farlo a modo suo.

Così quando arriva "Paper Money" io alzo il volume per sentire il piacere dell'energia musicale attraverso le vibrazioni dei bassi direttamente nello stomaco. Nel momento in cui inizia "Spiritual" di Josh Haden devo chiudere gli occhi e meditare per assaporare ogni sottile sfumatura del cantato profondo, tormentato e amaro, capace di trasmettere una consolante sensazione di intimità. Dinanzi a "Ghost Of You And Me" l'immaginazione va prima a pezzi poi prende il volo, liberando pensieri uno dietro l'altro senza scampo, senza logica alla ricerca di un barlume di luce. Invece immergersi negli arrangiamenti densi e profondi della strumentale "Arizona Bay" è come precipitare lentamente in un abisso interiore.

Ruvido e viscerale, subdolo e ipnotico ogni passaggio di questo disco dà un piacere quasi subliminale, che stringe lentamente il suo cappio dal quale è difficile liberarsi. Quando poi dal buio liquido, dalle nebbie, dalla pioggia e dai fantasmi accanto a Lanegan si materializza l'eterea delicatezza della voce di Will Oldham ("Through My Sails" di Neil Young) allora è davvero finita perché so che non potrò smettere di ascoltare, conquistato da un'altra ammaliante sbarra di questa prigione.

Mi libererò prima o poi, arriveranno altri dischi, altri suoni, altre emozioni, ma credo che non dimenticherò l'isolamento di questa prigionia che, pochi minuti dopo le 21 di Mercoledì 11 Aprile 2007, non è ancora finita...

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