Sette album in quattordici anni, un successo travolgente, poi il litigio e la separazione dal batterista Jon Wysocki (sostituito da Sal Giancarelli, suo tecnico della batteria). Il frontman Aaron Lewis che si allontana per abbracciare la carriera solista a suon di musica country e l’inizio del silenzio a tempo indeterminato.

Per undici anni abbondanti, lo studio di registrazione è rimasto chiuso a doppia mandata e i fan degli Staind hanno potuto contare unicamente sulla sporadicità della dimensione live.

Nell’aprile del 2023, dopo annunci e smentite, arriva “Lowest In Me”, il nuovo insperato singolo, a dodici anni dal self titled “Staind”, ultimo lavoro della band del Massachusetts. Il brano anticipa il nuovo full lenght “Confessions of the Fallen”, che finirà sugli scaffali in autunno, una volta terminato il tour in compagnia dei Godsmack.

Il periodo di massimo splendore della band risale ai primi anni duemila, in concomitanza con la pubblicazione del secondo lavoro in studio “Dysfunction” e dell’erede, il cinque volte disco di platino “Break The Cycle”. Nonostante gli Staind siano stati etichettati da molti come gruppo nu metal (forse perché scoperti da Fred Durst e prodotti dalla sua Flip Records), hanno sempre avuto poco a che fare con questo genere. Niente rapping e poco delle tipiche chitarre distorte (seppur a tratti cupe) ma molti elementi comuni al post grunge e all’alternative metal, ad oggi allontanano in modo deciso l’anima della band dalla collocazione originale.

D’altronde Aaron Lewis non ha mai nascosto l’enorme stima per Layne Staley e l’amore per gli Alice in Chains, tanto da non perdere l’occasione di dimostrarlo a livello pratico con “Layne”, inserita nel terzo lavoro “14 Shades of Grey”.

“Lowest In Me” colpisce già al primo ascolto soprattutto i puristi del sound della band di Springfield.

I temi che ricorrono nella discografia degli Staind sono sempre cupi e spingono alla riflessione. Si parla di depressione, morte, relazioni tossiche, dipendenze ma anche di ricerca di se stessi e non mancano ballate dedicate all’amore e alla famiglia. Questo nuovo singolo vuole giocare la carta dell’effetto nostalgia, dimostrando di andare subito a meta.

Il timbro di Aaron Lewis ricorda quello degli esordi ma risulta essere inevitabilmente più maturo. Parte dal fondo dell’anima rannicchiato su se stesso, fino ad esplodere farcito di rabbia sui ritornelli. I riff pesanti e a tratti distorti di Mike Mushok, che ricordano l’apertura di “Open Your Eyes”, le pelli di Giancarelli che risuonano potentissime e il basso di Johnny April, ci spingono in una dimensione oscura ma per niente sconosciuta.

Si canta il disappunto per un umano fallimento, il rammarico per un rapporto che ha disatteso le aspettative, lasciando solo rabbia e amarezza. Si è raggiunto il “punto più basso”, che porta caos, destabilizzazione e collera. Si perde la concentrazione e il focus, rimanendo di fatto nell’incertezza e in balìa della frustrazione.

Gli Staind hanno il merito di scavare nel profondo della nostra anima, dando l’impressione di scrivere ogni singolo testo dopo aver letto i pensieri di chi è all’ascolto. Sono passati quasi trent’anni dal loro debutto, da quel “Tormented” (dalla copertina macabra e stucchevole) al tempo frainteso dal mecenate Fred Durst, che si era rifiutato anche solo di ascoltarlo, tirando in ballo improponibili riferimenti al satanismo. Si sono alternati episodi cupi ad altri melodici e riflessivi, in un prolifico dualismo, artefice di innegabile continuità.

Tra molti discutibili sproloqui trumpisti di Lewis, nuovi progetti paralleli per il cofondatore Mike Mushok, qualche litigio e molti silenzi, possiamo ammettere che gli Staind sono tornati. O meglio, lo potremo fare quando saremo in possesso di una manciata di nuove canzoni, accompagnate, si spera, da un giudizio positivo. Gli artisti, che sono genio e sregolatezza, ogni tanto hanno bisogno di una pausa, per ricordarsi di cosa sono veramente capaci e da dove tutto è realmente iniziato. Partendo dal fondo dell’anima.

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