Guardando il trailer dell'atteso, ed in uscita a breve, House of Gucci, mi ha colpito una frase del personaggio di Patrizia Reggiani, interpretato come sappiamo da Lady Gaga: "Non mi considero una persona con uno spiccato senso morale, ma non sono ipocrita".

Evidentemente, questo fa subito pensare da vicino al nostro affezionatissimo Alex DeLarge e a tutto il senso di questo epocale capolavoro di cui voglio parlare.

"Guarda bene fratello, guarda bene"

Reduce dalla visione in sala di Arancia Meccanica di ieri, mi vengono d'obbligo, per l'appunto, alcune riflessioni.

Perché un'opera come Arancia Meccanica, ancora oggi, a cinquant'anni dalla sua prima, sconvolgente apparizione, risulta attualissima, universale, atemporale. Ancora oggi spinge, anzi obbliga alla riflessione, alla riconsiderazione del mondo in cui viviamo. Perché è un'opera incredibilmente avanti, coraggiosa come poche altre nella storia del cinema e dell'arte in generale.

Prima di tutto ed al centro di tutto, quella tratta dal romanzo omonimo di Anthony Burgess è un'opera sul profondo e complesso concetto di libero arbitrio. Un'opera antiautoritaria sull'importanza della scelta, su quanto una impossibilità di fare del male non genuina, ma imposta da trattamenti esterni e contronatura, sia infinitamente peggio del male stesso che si vorrebbe estirpare. In questo sta l'inaudito coraggio di questo film, nel dire qualcosa che tuttora risulta sovversivo se non vero e proprio tabù. E Kubrick lo disse mezzo secolo fa, con una forza espressiva rimasta inalterata, aprendo le porte a decine di registi che ad Arancia Meccanica devono tutto.

Senza dubbio, si può, anzi si deve considerare questo come uno dei film davvero di svolta nella storia di questa arte. Una pietra di paragone ed un lavoro che ha segnato un prima e un dopo, a partire dalla rappresentazione della violenza: prima di allora, magari anche più brutale, di per sé - Leone e Peckinpah già erano stati avveniristici in questo -, ma mai messa in scena con tale gioiosa rivendicazione da parte di un protagonista. Quella di Kubrick è una danza della violenza, "my violence is a dream", cantava Thurstone Moore. Una (ultra)violenza gratuita ed amata proprio in quanto tale. Nulla a che vedere con quanto visto in precedenza. Seppur in certo cinema della cosiddetta novelle vague giapponese, già figuravano esempi simili, come nel poco conosciuto (ma che consiglio, a tal riguardo) Violence without a cause di Koji Wakamatsu. Ma la rappresentazione artistica kubrickiana fu veramente qualcosa di inedito.

Oltre a questo aspetto, a fare la differenza è ancor di più il carattere politico del film, il più politico del regista de Il Dottor Stranamore. Per quanto si diceva prima e per molto altro ancora.

Uno studio sul ruolo dell'individuo nella società, su come esso sia continuamente manipolato e strumentalizzato da media e politica, che esercitano una progressiva e disumanizzante mania del controllo. In questo senso, una vera libertà risulta infine impossibile ed illusoria, anche a seguito della "guarigione" di Alex. E questo ha contorni ciclici ed eterni. Alex è difatti l'uomo del futuro, lo starchild del finale di 2001. È l'uomo nuovo dell'era moderna (Burgess era conservatore, va ricordato), di essa sia vittima che carnefice.

Arancia Meccanica mostra poi una struttura che Kubrick riprenderà per la sua opera testamentaria, quella più sofferta, pensata e, purtroppo per noi, finale, ovvero Eyes Wide Shut. In entrambi i casi, il protagonista compierà un percorso a ritroso, ripercorrendo i propri passi, reincontrando le stesse figure affrontare durante la prima parte del viaggio, portando così tutti noi a ripensare quello stesso viaggio con occhi differenti. A coglierne altre sfumature e a guardare il lato oscuro di entrambe le parti della medaglia.

"There is no dark side in the moon, really. Matter of fact it's all dark. The only thing that makes it look alight is the sun."

Una più ampia riflessione su Kubrick, sui suoi personaggi (seppur di originale creazione letteraria, ma questo è un aspetto relativo e secondario) e su quello che questi ci dicono di lui, poi, mi viene da fare.

Kubrick ha, come sappiamo, sia in vita che dopo, avuto la fama del misantropo, della figura schiva e restia al contratto col mondo.

"L'assenza è presenza", diceva Jude Law in The Young Pope, riferendosi proprio alla figura mitologica del regista newyorkese e londinese d'adozione.

Kubrick, a suo modo, come Salinger, come Lucio Battisti, grandi artisti che hanno deciso di staccarsi progressivamente dalle logiche della modernità e fare della propria assenza, appunto, la più forte delle presenze.

Che la misantropia di Kubrick fosse vera o meno, il suo di certo è un cinema di figure negative. Violente, in primis, appunto. La violenza, difatti, è il primo, più evidente ma anche più superficiale aspetto messo subito in rilievo. Ma sotto la superficie, e questo in Arancia Meccanica come in tutti gli altri suoi film, risultano figure meschine, arriviste, calcolatrici, vendicative, ipocrite. Che, fin dall'alba dell'uomo, tendono verso un desiderio di prevaricazione ed una pulsione di morte. Kubrick è amante viscerale della libertà, questo quello che emerge, ma pienamente consapevole delle criticità insite nella natura umana e nelle dinamiche sociali. Guardando a fondo, e da vicino, le sue opere, non viene pertanto da stupirsi che fosse un personaggio riservato ed auto-isolato.

L'estremo pessimismo del suo sguardo storico e trascendente di tempo e spazio, si fa infine rivelatore degli aspetti più nascosti della psiche. Dal passato al presente al futuro. Nel cinema di Kubrick non c'è mai stato spazio per eroi, personaggi positivi, morali consolatorie o situazioni concilianti.

E, a distanza di decenni e decine di visioni, non smette di insegnarci, meravigliarci e scioccarci. Mostrandoci le rovine di un mondo in fiamme, venato anche di follia, ma senza paura e nell'auspicio, quantomeno, soltanto della libertà di scelta. Quanto di più importante e prezioso dovremmo avere.

Carico i commenti... con calma