"Dance music that you can actually listen to, that's good pop songs, but also you can dance to it". Joshua Hodges, l'artefice del progetto Starfucker, o STRFKR per gli amici, descrive così lo stile musicale della sua creatura ma, giunto al terzo capitolo, qualcosa cambia: l'elettronica rimane il cardine su cui ruota l'opera, ma è veramente molto, molto difficile ballare sulle note di "Miracle Mile". Questo è un album fatto più per il relax, il riposo, la contemplazione, il sogno. Melodie eteree, non nenie badate bene, che si insinuano con grazia e naturalezza nella testa dell'ascoltatore, un album di rottura rispetto al "Reptilians", come due quadri che utilizzano la medesima tavolozza di colori ma con stili pittorici del tutto diversi.
"Miracle Mile" condivide con il predecessore una copertina che è già di per sè una gioia per gli occhi, e le sfumature rosa tenue non sono assolutamente casuali: rispetto ad un disco a tinte forti e atmosfere aliene e lievemente inqietanti come "Reptilians", MM è più dolce, continuo, rotondo. Non è certamente il disco che può garantire il grande successo per questi talentuosi oregonians, perchè per prima cosa manca totalmente di un singolo di forte impatto e non solo, "Miracle Mile" dà veramente pochissima importanza alle canzoni prese singolarmente, è un discorso fluido, scorrevole, unitario. Questa peculiarità mi suscita un istintivo accostamento con "A Gift From A Flower To A Garden" di Donovan; sarà un problema mio se percepisco l'influenza di Donovan in molte recenti release alternative pop di mio gradimento? Forse si, ma non credo si tratti di un caso. Fatto sta che, come quel double album del 1968, il primo disco "Wear Your Love Like Heaven" per essere ancora più specifici, anche "Miracle Mile" è una raccolta di piccole e colorate alchimie pop, che se isolate dal contesto appaiono quasi come semplici filastrocche senza uno spessore intrinseco, tessere di un mosaico che, disposte armonicamente, formano un bellissimo paesaggio. Tutto ruota intorno alla voce suadente, leggermente fitrata e vocoderizzata di Joshua Hodges e ad affascinanti combinazioni di elettronica, basso e qualche chitarra acustica: fuochi fatui, non vortici come in "Reptilians"; la musica è a volte leggermente civettuola e spicy come in "While I'm Alive" o "Malmo", piano, bassi e un po' di funky, in altri episodi più tranquilla e distesa, lievemente ipnotica: "Kahlil Gibran", "Beach Monster" e "I Don't Want To See" su tutte. Nessuno dei due stili però riesce a prevalere nettamente sull'altro, spesso e volentieri si amalgamano e si compenetrano.
Quindi a 'sto giro niente volte stellate e presenze aliene, "Miracle Mile" evoca piuttosto scenari fiabeschi, serali ma non notturni, una passeggiata in un bosco incantato, popolato da piccole e bizzarre creature creature ammiccanti. No no, niente droga, è un'immagine che mi è venuta così, naturalmente, solo ascoltando la musica. Vabbè, comunque "Miracle Mile" conferma gli STRFKR come una delle realtà più luminose del pop odierno. Da Portland, con amore.
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