Grandiosi. Epici. Minimali. Neoclassici.
Uscita numero 100 per l'etichetta Kranky. Il numero era stato saltato e tenuto in caldo per loro. Diciotto affreschi per oltre due ore di musica.
Ripetizione: giace nel cuore di molte forme musicali. Da' alla dance-music un groove. Fornisce alle canzoni pop ad a quelle rock quello che gli inglesi chiamano "hook", quella cosa che ti entra in testa e non se ne esce più. Evidenzia gli elementi chiave del pezzo che altrimenti potrebbero passare inosservati o poco apprezzati. Ma può sottolineare anche una cadenza sottile. Può far attirare l'attenzione su melodie nascoste o sotterranee. Usata bene la ripetizione può produrre (almeno in questo tipo di musica) quel tensionamento drammatico che sfocia solitamente in un cambiamento (improvviso o lento che sia). Usata male può essere sintomo di un songwriting pigro e poco creativo. Può stancarci, indurci a perdere attenzione, farci cambiare "stazione". Oppure, nel momento stesso in cui pensiamo di sapere cosa sta per accadere può minuziosamente nascondersi o trattenersi, rompendo le nostre ortodosse aspettative musicali con un'alterazione formale, ritmica o tonale che coincide spesso con lo zenith del pezzo. La ripetizione ci ipnotizza, ci culla e sì, alcune volte ci annoia. Uno strumento di precisione che può essere meraviglia o agonia a seconda delle mani in cui riposa.
Fortunatamente, questa primavera riposa in mani capaci. La Kranky ha fatto delle reiterazione e delle variazioni sottili una forma d'arte (i Labradford capostipi e maestri di ciò). Ma con "And their refinement of the decline" credo veramente che abbiano raggiunto l'apice. Gli Stars of the Lid vengono da Austin, Texas e sono il progetto a lungo termine del duo Brian McBride (chitarre ed elettronica) - Adam Wiltzie (elettronica, ex-Windsor of the Derby e già ingegnere del suono di gruppi come Sparkehorse, Flaming Lips e Mercury Rev) dislocati rispettivamente a Los Angeles e Bruxelles. I primi lavori del combo erano principalmente composti da chitarre manipolate e field-recordings ma dal 2001, anno di uscita del precedente e già colossale "The tired sound of Stars of the Lid", si erano evoluti incorporando glaciali arrangiamenti orchestrali, pianoforte, oboe, violoncelli, clarinetti, trombe (tutti quasi sempre trattati ma non maltrattati) e chi più ne ha più ne metta. Il cambiamento è stato accompagnato anche da una maggiore focalizzazione della melodia, sempre però tenue delicata e melanconica, trasformando il loro sound da pura drone-music in una sorta di profondo strutturato e classico minimalismo.
Sei anni di lenta collaborazione intercontinentale hanno reso questa sinfonia raffinata ed "espansa" un lavoro unico, un lavoro impressionante ed infine un lavoro importante. "And their refinement to the decline" è risultato semplicemente troppo ambizioso per un singolo disco diffondendo la sua musica in due cd o sei lati di vinile. Ma i 120 di musica non vengono percepiti come una stravaganza ma più come una necessità, un regalo. Mentre nel precedente album lo spazio ed il tempo erano usati più spesso per dipingere striscianti meditazioni, tessiture tonali e risonanze di semplici e ricorrenti accordi, qui vengono più frequentemente "alterati" per esplorare in modo molto più complesso le strutture principali sempre comunque fluide ed attente. Come tale, le variazioni si sono trasformate dagli infinitesimali spostamenti del passato verso progressioni più sviluppate costruite sopra lente rivoluzioni con una ragione ed una direzione ben definite. E mentre prima molte tracce sembravano fotografie istantanee prese arbitrariamente da un lavoro di lunghezza indeterminata ora spesso hanno un inizio ed una fine.
Prendiamo, per esempio, "Humectez la mouture", che riesce, in appena cinque minuti e mezzo, a presentare un miscrocosmo sonoro che incarna in pieno il mondo degli Stars of the Lid. La canzone si apre con un drone di violoncello che conduce rapidamente ad una elegante marea d'archi orchestrata, ad una macchia di rumore ambientale ed alla fine del primo minuto ad un solitario pianoforte riverberato che attacca con un'alternanza di due accordi elementari e disadorni, via via guadagna corpo e significato attraverso pulviscolari oscillazioni e flebili accompagnamenti che sembrano provenire da chissà dove, per chiudersi con una più intricata, ma tenue e struggente, riproposizione del tema principale. In modo simile, "Even if you're never awake (Deuxieme)" implode, dopo tre minuti di lentissimi violini maneggiati elettronicamente, in un triste requiem per clarinetto e pianoforte (forse uno dei momenti più consistenti dell'album, sicuramente il più intrigante) ed alla fine si adagia in cori quasi impercettibili. O ancora "Articulate silences part 2" un drone statico e liquido che muta senza che l'ascoltatore quasi se ne renda conto (dipende sempre dal modo in cui si ascolta questa musica), in un'ancestrale e neoclassica crescente sinfonia. Anche quando McBride e Wiltzie indugiano in ripetizioni stranianti di un singolo accordo, come nella lunghissima finale "December hunting for vegetarian fuckface", queste sono più frequentemente ornamentali introduzioni per un refrain a venire.
Difficile e forse inutile comunque isolare frammenti, brani, tracce: sarebbe come tentare di arginare un fiume placidamente ma inesorabilmente in piena. Sono diciotto tele, ma è un unico quadro quello che si forma davanti ai nostri occhi: è l’affresco sonoro di uno scenario disintegrato e fluttuante, magicamente sospeso e statico, stregato da un senso mistico ed allo stesso tempo iperterreno di quiete, che si realizza attraverso il suo stesso “essere”, religiosamente finalizzato al “qui” ed “ora”, estaticamente in attesa di un qualcosa che non si compirà mai. Insomma, gli Stars of the Lid hanno sviluppato una nuova esistenza per la lora musica, ben oltre i loro esordi risalenti a circa una decade fa, catalogabili appieno nella drone-music. Soprattutto questo genere ha i suoi estimatori ed i suoi detrattori e spesso delle limitazioni (solitamente percettive) date dalle circostanze (e dalle sostanze!) in cui (o sotto cui) può essere apprezzato. Ovvio, l'assimilabilità di questo lavoro è ancora legata in qualche modo (od in qualche persona) a stilemi fissi quali l'amore incondizionato per l'incedere triste e soffuso ed ad una comprensione e compenetrazione (direi sensoriale) dell'alternarsi ripetizione-variazione. Ma davvero qui i due hanno elaborato ed arricchito talmente efficacemente il loro sound tramite più piene orchestrazioni ed un senso composizionale più acuto e profondo, da trasformarsi in qualcosa di completamente diverso e spazzando via (almeno per le mie povere orecchie) ogni lagnanza imputata spesso ad un certo tipo di musica come l'essere prolissa, noiosa o per molti impenetrabile. Se ci si affoga dentro questa impenetrabilità diventa magnificenza.
Analogico e digitale insieme, statico ma in divenire allo stesso tempo, quest'album è secondo me l'universo sonoro più creativo ed evocativo che si possa immaginare. Consigliabile ascoltare tale monolite nella quiete più assoluta, in silenzio, ad occhi chiusi. Gli Stars of the Lid hanno descritto il loro nome come il riferirsi alle immagini che si generano fra l'occhio e la palpebra chiusa. Con "And their refinement of the decline" hanno donato a queste immagini fantasma la perfetta colonna sonora.
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