La novella degli Scacchi è considerata uno dei capolavori dell’austriaco Stefan Zweig, ed è celebre per essere una grande metafora dello sfacelo e della tragedia che si è abbattuta sull'Europa con l’avvento dei nazionalismi. Da quel momento, a rigor di metafora, secondo l’autore, anche il gioco degli scacchi, così come la Grande Storia, non è più in mano a uomini dotati di talento e cultura, estro e passione, ma di campioni monomaniaci, ignoranti e rozzi, come Czentovič, il campione del mondo, prodigioso automa del gioco.

Eppure, forse, c’è molto di più.

Mi dilungherò.

Il racconto si sviluppa su due piani temporali: nel primo, l’autore, attraverso il narratore che è la sua voce, racconta di quando, nel 1940, su una nave diretta da New York a Buenos Aires, ebbe modo di incontrare e conoscere il campione del mondo di scacchi in carica.

Il talento davanti alla scacchiera aveva assicurato a costui una rapidissima ascesa verso la celebrità, ma, non altrettanto successo lontano da essa: la sua figura, infatti, restava grottesca; aveva le maniere e il contegno rozzi da uomo incolto, comicamente esaltati da un abbigliamento vistoso e pomposo.

Stefan Zweig, che aveva maturato modi così urbani e europei, modesti e signorili, durante una vita cosmopolita, passata vicino alle figure più stimabili del suo tempo, notava acutamente questo stridore.

Dopo vari tentativi di approccio per cercare di scoprire l’arcano segreto del suo talento, per mano di un borioso, ricco e venale, uomo d’affari, Zweig si ritrovò dall’altra parte della scacchiera Czentovič, che in cambio di denaro aveva accettato di sfidare il gruppo di dilettanti che man mano si andava aggregando ai due per partecipare e assistere alla sfida.

Persa la prima, la seconda e poi la terza partita, alla quarta, mentre i dilettanti stavano per compiere una mossa per loro fatale, una voce alle loro spalle li bloccò:

Per l’amor di Dio! No!

Era giunta in loro soccorso una voce che sembrava venuta da Cielo in Terra a miracol mostrare. In poche frasi, infatti, riuscì a prevedere tutte le mosse future e a trovare la risposte idonee, capaci di costringere il campione a dicharare:

Patta!

Potete immaginare lo stupore del nostro autore. L’indomani, nei modi più cortesi che potesse mostrare, Zweig, dopo averlo scrutato attentamente, decise di avvicinare l’uomo misterioso, che, dopo alcuni convenevoli, parlando del gioco, gli confessò:

Non giocavo da venticinque anni.

Come mai poteva essere? Chi mai poteva essere costui?

Un geniale biografo di uomini eccezionali come Zweig, non poteva lasciare cadere un fatto così eccezionale, quindi, In una mezz’ora, riuscì a farsi raccontare dall'ignoto giocatore la sua storia: una delle più private storie di autodisciplina che siano mai state scritte.

Sarebbe stato necessario tornare indietro di qualche anno…

Da quando da oscuro amministratore di beni ecclesiastici e di affari di casa asburgica, gli occhi dei servizi nazisti si puntarono sulle sue attività.

Così, inizia la parte culminante della novella in cui si racconta la storia del giocatore misterioso: una storia di reclusione e passione. Sono le pagine più intense del libro, in cui descrizioni, dialoghi e azioni, suspense e climax, sono dosate alla perfezione. Zweig trasmette la forza con cui una passione illecita arriva a penetrare, conquistare e sottomettere a sè ogni fibra dell’appassionato: che questa passione sia un amore omosessuale, la lettura di un libro proibito o, come in questo caso, il gioco degli scacchi.

Nel segreto della propria cella, in un accesso febbrile, il protagonista è eccitato dall’infinita varietà di mosse e soluzioni possibili sulla scacchiera, inizia a esercitarsi regolarmente, fino a che dopo aver ripetuto la stessa partita per venti o trenta volte, l’eccitazione, la sorpresa svaniva.

Tuttavia da un’ossessione non ci si può difendere.

Prese a giocare mentalmente contro se stesso, senza pensare ad altro da mattina a sera, con tutto il suo essere. Così, il piacere del gioco diventò vizio, il vizio necessità, mania, rabbia, che compenetrò anche il sonno, e diventò, infine, crisi.

Insomma, così, come, Zweig, prima che autore del Mondo Ieri, è stato autore di memorabili ritratti biografici, io ho amato la novella, prima che per la grande metafora, per avervi trovato un classico e sereno luogo d’incontro con anime eccezionali conquistate e invase da passioni e sentimenti incontrollabili.

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