Di sicuro una carriera fuori dal coro quella di Steve Earle: la figura enigmatica, introversa e ribelle lo ha ormai reso una tra le più affermate nel profondo cuore della Dixie Land, in cui rock duro e liquore pesante sono le uniche leggi.
Steve nasce nel lontano '55 affermandosi inizialmente con dei dischi abbastanza discreti di country. Pian piano le sue radici rock si fanno strada nelle sue creazioni, diventando un'icona per tutte quelle tristi anime che davano il southern rock per morto anni e anni prima... Ma solo per alcuni: con il suo carattere scorbutico e difficile, da vero delinquente fallito on the road riesce quasi a chiudere le porte alla propria carriera, arrivando quasi alle botte con ogni discografico che gli si presenta di fronte, e vivendo una vita basata su idee proprie, sempre pronto a mettersi in luce per le cause politiche a lui molto care.
Ma il talento di Earle, non lascia dubbi, è enorme, e quindi gli si può perdonare tutto: lo si coglie in questa chicca senza tempo "Copperhead Road", uscito prima che la eroina lo schiavizzasse, prima di uscire ed entrare in una svariata serie di matrimoni falliti e prima di andare in prigione per tentata rapina a mano armata (giusto per nominare alcune delle sue bravate).
Il disco esce nel 1988: la propria forza sta nell'evocare grandi ricordi attraverso stili differenti, quali blues, country e southern, colorando il tutto con delle fantastiche pennellate di suoni irlandesi. Introducendosi proprio con delle cornamuse e un fantastico tocco di mandolino, la title track sa fare tributo al disco: è difatti potentissima, con una voce megasofferente e virile piena di carica, affiancata da un seguito di chitarre elettriche e piano in stile honky-tonk . Il sound potente non è da meno in "Snake Oil" puro rock'n'roll allo stato grezzo, il cui tocco di piano e voce tanto ricordano quelle di Billy Powell e Ronnie Van Zant, rispettivamente tastierista e cantante dei Lynyrd Skyrnyd. Un buon miscuglio di chitarre fa da protagonista in "Back To The Wall" ma ancora una volta ci può fermare e notare le prodezze canore del frontman. Americana al 100% è "The Devil's Right Hand" e gli ingredienti ci sono proprio tutti: si parla di pistole, vecchie città polverose e i saggi consigli di mamma, la vecchia e cara donna a cui ogni southern man che si rispetti non può non dare ascolto con ferma determinazione. A portarci in un mondo totalmente differente è "Johnny Comes Latley": l'irlanda viene evocata in ogni nota di mandolino e ogni riff di piffero; la genialità sta proprio nel contrasto delle le linee vocali, tipiche delle vecchie folk songs irlandesi, nonostante i testi siano di sfondo politico americano (si parla della guerra del Vietnam).
Molto più contemporaneo è il suono "Even When I'm Blue" e "You Belong To Me" , ma in cui sono comunque notabili le immancabili influenze country. "Waiting On You" è una vera svolta, una canzone talmente melodica che quasi non ce la si aspetterebbe su un disco del genere, ma non per questo meno apprezzabile, anzi, sa regalare una piccola tregua. Dopo la tipica "Once You Love", che riassume un po' ciò che nel disco si è sentito, è tempo di lasciar spazio al commovente finale "Nothing But A Child". Steve duetta con la cantante country Lucinda Williams in modo dolce e malinconico, e l'intreccio tra acustiche, slide guitars, mandolini e violino sanno creare la giusta atmosfera. Davvero sorprendente!
Successivamente Earle pubblica dei dischi molto buoni, come "Train A' Comin'", "I Feel Alright" e "El Corazòn", e sempre saprà creare una magica miscela di generi, spingendosi addirittura verso il grunge e il bluegrass, ma a mio parere "Copperhead Road" rimarrà il grande gioiello dell'intera discografia.
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