Steve Miller (1943) è un musicista americano che ha una storia artistica lunghissima e di notevole spessore, ma spesso lo si identifica come artista commerciale nella concezione più dispregiativa del termine, ricordandolo per i suoi successi di metà '70 e inizio '80.

Questa recensione si occupa del primo lavoro della Steve Miller Band "Children Of The Future" uscito nel 1968, ma composto nei due anni precedenti. La Steve Miller Band infatti pur esordendo con questo album ha già qualche anno di esperienza: ha partecipato al festival di Monterey, ha accompagnato Chuck Berry al Fillmore, ha partecipato con alcuni brani alla colonna sonora del film "Revolution" insieme ai Quicksilver M.S.

Si tratta di una band già di grande esperienza che ha come leader Steve, chitarrista-cantante tra i più preparati in ambito rock-blues (allievo nientemeno di Les Paul), ma ha come comprimario un certo Boz Scaggs chitarrista-cantante di grandissimo talento (avrà pure lui gran successo da solista). Gli altri musicisti sono ottimi accompagnatori e il disco sia avvale della prestigiosa produzione di Glyn Johns.

Ma eccoci al disco. I primi 3 brani, tutti legati senza pause (e così saranno anche tutti gli altri) sono una eccellente introduzione: l'espolosione iniziale di noise chitarristico e percussiva non tragga in inganno! l'atmosfera infatti si placa e i tre brani si sviluppano brevi e leggeri in un mix di folk psichedelia e r&b, con rimandi pure al gospel più gioioso.

La quarta e quinta traccia sono il cuore dell'album: "In My First Mind" maestosa e ipnotica è considerata una delle prime esperienze prog della storia del rock. Il mellotron e l'hammond sviluppano un tema quasi classico , emozionante e suggestivo, il ritmo segue marziale, la voce di Steve è toccante. Segue poi una "scala sulfurea" che fa da ponte al lungo finale di una tale potenza espressiva da ricordare i migliori King Crimson e Pink Floyd.

Dopo l'ultima "scala sulfurea" si insinua "The Beauty Of Time Is That It's Snowing": si tratta di un psycho blues riverberato tra raffiche di neve ed effetti "strani" che si collega alla coda finale di "In My First Mind" sviluppata a più voci e mellotron. Insomma basterebbe solo questo primo lato (per chi ha il vinile) a farmi gridare al capolavoro.

Ma se ascoltiamo la successiva "Baby's Callin' Me Home" c'è ancora da rimanere a bocca aperta. Il brano composto e cantato da Boz è un tenerissimo pop-folk dal sapore antico per l'arrangiamento (clavicembalo e chitarra classica), ma in cui ci trovo un'anima blues psichedelica. Potrebbe essere un classico del pop anni '60 se più gente conoscesse questo album.

Sempre senza pause arriva quella selvaticissima ed Hendrixiana "Steppin' Stone" che è l'altro capolavoro di Boz, degno di nota il bellissimo assolo di chitarra. Le 2 tracce seguenti ricordano le inizali tre: un cocktail di stili musicali che ricordano il più spigliato dei musical. Le ultime tracce sono un buon modo per tornare a casa dopo un viaggio lunghissimo: 2 blues tradizionali suonati alla Canned Heat.

Questo capolavoro della Steve Miller Band non dovrebbe assolutamente mancare tra i dischi di chi ama il rock dei '60.

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