"Sometimes what appear as failures, are really successes in disguise"
Così recita la frase di Tommy Shannon posta sul retro cartonato di questo doppio live uscito postumo; la quale sintetizza un pò le due esperienze e il tempo che intercorrerà tra esse. Bisogna fare qualche premessa doverosa e che inquadri periodi e contesti: nel Luglio del 1982, periodo della prima calata europea del buon Stevie e della allegra brigata doppia/tripla, non era ancora uscito Texas Flood; quindi famigliarità sonora non poteva esserci, a meno che qualche temerario europeo non lo seguisse in America.
La Svizzera non è il Texas - purtroppo - in tutti i sensi. Il Mountreux Jazz Festival, seppur uno dei festival più prestigiosi al mondo, non è uno di quella schiera infinita di festival Blues sudati, birraioli e di provincia disseminati per gli Stati Uniti e dei quali Stevie era il nuovo re tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80; quindi questo texano arrivava nel vecchio continente come un alieno appana arrivato da un altro pianeta, in tutti i sensi. Stevie non è sciolto e si sente, non è rampante e non è infuocato come testimoniano live incendiari - soprattutto bootleg - precedenti a quel 1982 e i quali gli facero guadagnare sul campo la nomina a nuovo profeta della chitarra Rock Blues.
"Hide Away" del suo eroe Freddie King lancia uno Stevie timoroso, intimidito, distaccato. Sembra come se un qualcosa tentasse di sprigionare dell'energia rimasta bloccata tra le corde della sua chitarra, un colpo rimasto in canna. Le cose vanno leggermente migliorando con "Rude Mood", anche se la grinta che avrà il pezzo negli anni a venire e un qualcosa di lontano, tanto che Stevie prova ad allungarla con un reprise di "Hide Away". Anche un banale Jack & Coca necessita delle primarie dosi giuste. "Pride and Joy" rappresenta la vera rampa di lancio del disco. Da questo momento in poi ci sarà un lieve ma significativo crescendo il quale riesce a mettere Stevie nella giusta dimensione. Del resto "Pride and Joy" resta una compagna fedele, cavallo di battaglia della primissima ora in cui anche Layton e Shannon sembrano ritrovare smalto dopo la poca convinzione iniziale.
Altra cartuccia sparata alla grande è "Texas Flood" in tutto il suo slow. Stevie non era di certo un cantante, ma come sporcava le canzoni lui, era propio quello che le canzoni in questione pretendevano da una voce. "Love Struck Baby" non tradisce mai in tutto il suo fighissimo mood Rock and Roll, un'energia che comincia con maggiore intensità a riappacificare sempre più Stevie alla sua bimba e al suo sound. La torrenziale e introspettiva "Dirty Pool" lascia un'umidità nell'aria tipica di certe sfumature del sound di Stevie. I suoi suoni hanno molto a che fare con i suoi luoghi e con la metereologia ad essi legati. Il Boogie Rock di "Give Me Back My Wig" lascia una scia frizzante che si appresta a sfociare nel pezzo finale che è "Collins Shuffle". Si cunclude così la prima esperienza di Stevie nel Vecchio Continente. Una esperienza che aprirà per certi versi le porte al Nostro. Arriveranno i Jackson Browne, i David Bowie, Mick Jagger lo sponsorizza, quella vecchia volpe di John Hammond Senior ha già tutto pronto...
Siamo nel 1985. Non abbiamo più il texano venuto qualche anno prima con tutto il suo entusiasmo e il quale tentava di conquistare il continente europeo a colpi di Stratocaster. No, adesso c'è Stevie Ray Vaughan, due premi al "W.C. Handy National Blues Awards" nelle categorie "Entertainer dell'anno e strumentista Blues dell'anno" prima volta nella storia dati ad un bianco e consacrato unanimemente a leggenda vivente. Alfiere di un genere non di moda negli anni '80, ma che grazie a lui ha saputo ritagliarsi una fetta importante nei gusti della gente districandosi tra suoni metallici e synth oscuri, un pò la sintesi musicale degli anni '80. Si capisce già che la musica sia cambiata solo dal fatto di come venga accolto il Nostro alla presentazione dello speaker, certamente di ben altro tenore rispetto a tre anni prima.
Il riff frenetico di "Scuttle Buttin'" apre le danze in tutto il suo splendore, i colpi smooth dell'organo di Reese Wynans - recente acquisto - e la ritmica fedele di Shannon e Layton portano Stevie fino "Say What!", in cui morde il Blues in tutto il suo wah-wah. "Ain't Gone 'N Give up on Love" portano Stevie in un territorio rilassato e ammiccante propio come ai tempi del retrobottega di Antone's, in cui le sfumature Soul della voce di Stevie e gli alternati piano/organo di Reese riescono a mettere la ciliegina. Mitico l'accompagnamento al charleston di Layton, in cui fa quello che non ti aspetteresti in un normale Blues. "Pride and Joy" non poteva restare fuori dai giochi, e infatti riesce in tutto il suo groove a dare le coordinate artistiche della carriera di Stevie. "Mary Had a Little Lamb" di Buddy Guy, pezzo molto caro a Stevie non tradisce le attese; ma ecco che viene presentato a dovere il grande Johnny Copeland, il quale mette a disposizione tutta la sua sapienza vocale e chitarristica a disposizione di una struggente "Tin Pan Alley", uno dei classici dell'America profonda, il quale stregò un giovane Stevie ai tempi in cui usciva dal vecchio juke box di Antone's. Le pennate a colpi di wah-wah più famose della storia della musica preannunciano "Voodoo Child", in cui il chitarrismo di Stevie arriva a toccare vette altissime, ma qua ci vorrebbe una discussione a parte per il confronto tra il Maestro di Seattle e il Maestro di Oak Cliff.
Anche "Texas Flood", ormai consolidato e fidato classico è della partita, ma da non sottovalutare gli interventi di Wynans, uno dei principali motivi della felice riuscita di questo secondo live. "Life Without You" ridimensiona un pò la serata, e forse era quello che ci voleva, fino a quel momento tenuta costantemente con il piglio che ci si aspettava. "Gone Home" riesce, anche grazie all'aiuto di Reese, ad esplorare quei confini Bluesy/Jazzy di Joe Pass, T-Bone Walker e Wes Montgomery tanto cari a Stevie. Arriviamo all'epilogo, "Couldn't Stand the Weather", mitico pezzo e title track dell'album omonimo uscito l'anno prima, congeda la magnifica esperienza in tutta la sua furia Funky.
Cala il sipario su questa seconda esperienza svizzera di Stevie, giunta negli anni culminanti della sua carriera e dei suoi eccessi che lo porteranno nel 1986 a dare una sterzata al suo stile di vita. Purtroppo, questi tentativi di ridare un senso alla sua vita di uomo risulteranno vani di fronte al destino che presenterà il conto qualche anno dopo.
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