Non c’è niente da fare.

La maggior parte della gente, superata quota 50, comincia a prendersi fottutamente sul serio entrando in preda a deliri di onnipotenza o crisi mistico/trascendentali che li fanno, il più delle volte, uscire di brocca e predere il senso della ragione.

Nessun riferimento politico, eh?

Già l’esperimento del 2006 “Songs from the Labyrinth” avrebbe dovuto far riflettere il nostro ex-Police sulla bontà dei risultati (al di là dei lodevoli intenti) ma evidentemente il pungiglione ha perso l’ape ma non il vizio (si va beh, non recita proprio così ma ci siamo capiti…).

Questo “If On A Winter’s Night” (a fine ottobre disponibile in CD ma già ascoltabile in download) cita il nostro beneamato Italo Calvino ma al di là di questo riferimento colto, anticipo subito che è un disco per lo più moscio e stanco.

In qualche modo, è il logico proseguimento del già logorroico disco precedente,  dove le atmosfere tardo barocche lasciano qui il posto a 11 composizioni che sono delle rivisitazioni di classici irlandesi e britannici più 4 composizioni inedite, ad opera dello stesso Sting, che rivitalizzano appena questo magma soporifero davvero noioso, pretestuoso e imbarazzante (vedere il video del singolo qui).

La voce di Sting è sempre bella e con l’età assume colore e sfumature interessanti, ma il vero problema, a mio modo di sentire, è la monotonia delle composizioni acustiche (si sprecano clavicembali, unicorni, chitarre a mandolino, liuti e compagnia bella) e la voce non adatta a questo genere di cose.

Un disco quindi introspettivo e invernale (la copertina dice già tutto) con brani anche interessanti sia come fraseggi che per la libertà che offrono alla voce di Sting di giocare in mille ricami (anche se il suo timbro appare alla fine monocorde e poco espressivo, benché lui faccia il massimo per mettercela tutta!).

Un disco però che, nonostante l’apporto tecnico e musicale di Robert Sadin, Dominic Miller (sempre lui!) e Kathryn Tickell e il clima disteso delle registrazioni avvenute nel suo lussuoso podere toscano, onestamente si fa fatica ad ascoltare per intero e che già alla quinta composizione vien voglia di richiudere tutto e dedicarsi all’Arte del Bonsai, alla lettura di Castaneda o qualsiasi altra minkiata sicuramente più costruttiva e rilassante.

Un disco che sembra il canto del cigno di un vecchio Lord inglese annoiato e desideroso di darsi un tono, rinnegando quasi quello che fino a ieri è stato il suo habitat naturale (la musica rock) per fare forzatamente lo snob, sciorinando esercizi stilistici pretestuosi e virtuosi, ma che alla fine non arrivano all’anima di chi lo ascolta e diventano soltanto un “bel giocattolone dorato” di tecnica e stile fine a se stesso.

Non c’è niente da fare.

Quando una ex-rockstar straricca e annoiata non sa che fare per perdere tempo e giocare, dovrebbe avere la dignità di fare dell’altro invece che prendere per i fondelli i fans che lo hanno seguito fin qui: tipo dedicarsi alla produzione di vini o all’import-export di olio extra vergine di oliva.

Si vocifera in giro, infatti, che l’olio e il vino della "Tenuta Sting" siano pure di ottima qualità.

Ah… se in una notte di inverno ….Sting avesse spremuto (a freddo) meglio la sua vena artistica, a questo punto staremmo parlando di qualcosa di meglio che non di questo dischetto insipido che passerà nel dimenticatoio in meno di 6 mesi.

Vogliamo scommettere?

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