Avevo dodici anni ed ero in seconda media. Lei si chiamava Barbara ed era, senza esagerare, meravigliosa. Caschetto nero perfetto, nasino alla francese, occhi grandi da cerbiatta — il tipo di bellezza che a quell’età non sai nemmeno come guardare senza sentirti un rutto venuto male, troppo goffo per esistere.

Il giorno in cui mi invitò alla sua festa di compleanno, toccai letteralmente il cielo con un dito. Passai giorni interi a fantasticare su quello che, nella mia mente febbricitante da preadolescente, sarebbe stato un evento epocale: sguardi intensi, sorrisi maliziosi, un lento da ballare pube-contro-pube e poi, inevitabile, la dichiarazione d’amore.

Ovviamente, niente di tutto questo accadde.

La festa fu una immensa rottura di cazzo, come tante altre all’epoca: patatine mosce, Coca Cola tiepida, lunghi silenzi pieni di imbarazzo ormonale, giochi idioti tipo “obbligo o verità” e una quantità preoccupante di cassette musicali (si era nel pieno degli 80!).

Già, le cassette.

Ed è proprio lì, tra una compilation fatta male e un best of di Vasco, che successe qualcosa. Dallo stereo Grundig grigio partì una voce strana, nasale, ma profondamente soul. Un groove irresistibile, pop ma sofisticato, sfacciatamente sensuale. Si trattava, come avrete già capito, di Introducing the Hardline According to Terence Trent D’Arby.

Quello sì, fu amore al primo ascolto.
Quella voce, quelle melodie impossibili da ignorare... un brano più bello dell’altro, un colpo al cuore dietro l’altro. Il giorno dopo chiesi a mio padre diecimila lire e corsi a comprarmi la cassetta.

Barbara passò in fretta, rimpiazzata da Elisa, poi da Marcella, poi da Lucia…
Ma quell’album non mi ha mai lasciato. È sopravvissuto alla scoperta dell’heavy metal, poi del punk, poi della sacra epifania dei Doors e dei Sixties in blocco.
Ha resistito a tutto.

Certo, ad un certo punto la cassetta finì coperta di polvere, sepolta sotto pile di nuove ossessioni musicali, persa non si sa dove. Più avanti, passato il periodo in cui devi rinnegare tutto ciò che non sia Indie e maledetto, recuperai il cd e poi il vinile. Ogni tanto lo riascolto e, all’improvviso, quell’adolescente sbarbato e insicuro torna fuori e si emoziona ancora con Wishing Well, Dance Little Sister, Rain, Sign Your Name o Seven More Days.

La verità, banale e scontata, è che la musica non invecchia (quasi mai), anche se tu sì, drammaticamente.

Elenco tracce samples e video

01   If You All Get to Heaven (05:17)

02   If You Let Me Stay (03:13)

03   Wishing Well (03:30)

04   I'll Never Turn My Back on You (Father's Words) (03:36)

05   Dance Little Sister (03:54)

06   Seven More Days (04:31)

07   Let's Go Forward (05:32)

08   Rain (02:59)

09   Sign Your Name (04:38)

10   As Yet Untitled (05:36)

11   Who's Lovin' You (04:21)

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Altre recensioni

Di  Cornell

 Terence Trent d'Arby è quello che io considero un artista a 360°, dotato di una voce calda, sensuale, graffiante, ma anche vellutata.

 Questo album è trascinante, dalla prima traccia all'ultima e finirà per raggiungere la soglia dei 12 milioni di copie vendute.


Di  PaxEst

 Quello sì, fu amore al primo ascolto.

 La verità, banale e scontata, è che la musica non invecchia (quasi mai), anche se tu sì, drammaticamente.