Ognuno di noi coltiva un hobby o per meglio dire una passione per la quale non bada a spese. Nel mio caso, fin dalla più giovane età, è stato l'ascolto della musica (facilitato dal fatto che i miei genitori fossero anche loro amanti della buona musica). Ciò per me ha significato avere un passatempo che si estrinsecava nell'andare per negozi e mercatini alla ricerca di dischi tanto belli da stuzzicare la mia curiosità. Ovviamente ciò ha comportato anche un discreto esborso di denaro di cui non mi pento in quanto compensato da un'intensa frequentazione (in veste di fruitore) di vari musicisti e stili musicali.

Ma nello specifico devo anche ammettere che, fra i tanti gruppi e solisti rock ascoltati ed apprezzati, gli Animals non siano stati da me adeguatamente presi in considerazione per lungo tempo. Intendiamoci: conoscevo ed apprezzavo la loro versione famosa di un brano tradizionale come "House of the rising sun". Epperò lì mi fermavo, poiché ero maggiormente intento a gustarmi dischi di altre band (e non solo quelle della cosiddetta "British invasion" di metà anni '60).

Caso volle, però, che un po' di anni fa (circa una ventina), durante una mia peregrinazione fra mercatini di vinili e memorabilia varie nella zona dei Navigli di Milano, mi imbattessi in questo "33" giri antologico dal titolo "House of the rising sun". Mi colpi` non poco un fatto : si trattava di un disco pubblicato in Germania dall'EMI e del tutto sprovvisto della data di pubblicazione (curioso a pensarci che i tedeschi, così precisini, si fossero dimenticati di specificare l'anno di pubblicazione...).E solo in seguito mi accertai trattarsi di un lp antologico uscito nella seconda metà degli anni '70, quando quanto inciso nella decade precedente era ormai assimilato e storicizzato.

Fu quindi una certa curiosità ad indurmi ad acquistare il vinile e, una volta messo sul piatto del giradischi a casa, riscoprire un gruppo che aveva assicurato un degno contributo alla maturazione della rock music. Seduto in poltrona mi immersi così nel flusso sonoro sprigionato dalle tracce presenti sul vinile e fu come farsi trasportare da un'ipotetica macchina del tempo di Wells per ritrovarmi in quel biennio magico 1964-1965 in cui gli Animals non sbagliavano un colpo. E non era solo la celeberrima "House of the rising sun" con il fiammeggiante organo Hammond suonato dal valido Alan Price, ma anche il notevole giro di basso di Chas Chandler in "We gotta get out of this place", il ritmo sostenuto ed incalzante in "It's my life", nonché quella sorta di proto rap in "Story of Bo Diddley"in cui il front man Eric Burdon eccelleva con quella voce così cavernosa da sembrare un minatore gallese.

Insomma, un disco antologico fondamentale soprattutto se si pensa che oggi lp e cd degli Animals non sono facilmente reperibili. E quindi "House of the rising sun" non può mancare giusto per constatare che la band metteva egregiamente in risalto le radici black del rock, interpretando brani fondamentali di Lee Hooker, Bo Diddley, Sam Cooke. Una band di veri e propri puristi del rock blues, alla pari con i coevi Rolling Stones e con un un cantante come Eric Burdon il cui stile canoro intenso sarà fonte di ispirazione anche per altri successivi rockers come Jim Morrison e Joe Cocker.

Ma dopo quel biennio 1964-1965 l'alchimia musicale proposta dagli Animals si incrino`, tanto che ognuno prese strade diverse. Se, ad esempio, Chas Chandler ebbe la giusta intuizione di riciclarsi come talent scout di giovani promettenti tanto da aver la fortuna di scoprire un certo Jimi Hendrix, Alan Price invece prosegui` l'attività di tastierista e si diede anche alla recitazione cinematografica. Ma non fu altrettanto fortunato Eric Burdon che, volato a San Francisco per la Summer of love, si propose come cantore della flowers generation ma senza risultati particolarmente apprezzabili. Sarà stata un'eccessiva indulgenza per i trip lisergici ma quell'Eric Burdon non raggiunse i livelli qualitativi degli anni d'oro degli Animals. Tanto che il nome di questa band può ancora suscitare oggi qualche ricordo, ma lo stesso non si può dire di Eric Burdon, sopravvissuto a sé stesso e ai suoi eccessi passati. Prova è costituita da una foto scattata durante un suo concerto svolto nel periodo meno brillante della sua carriera : malfermo sulle gambe e con lo sguardo spento, concentrato a tracannare una bottiglia di whisky, prima di riprendere a cantare.

È vero, molti rockers sono purtroppo morti male nello splendore della loro odissea artistica, ma vedere uno come Eric Burdon farsi male e sprecare il proprio talento mi suscita sempre una gran malinconia. Preferisco allora ricordarlo ascoltando (e assaporandolo come un'autentica madeleine proustiana) un vinile antologico come "House of the rising sun" che mi riporta ai suoi anni migliori. Ad ennesima conferma che basta poco per accendere la nostalgia canaglia..

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